La diagnosi precoce è sempre diseguale

CALABRIA PRIMA PER  MIGRAZIONE SANITARIA. ULTIMA PER SPESA SANITARIA

La Calabria è l’ultima regione in Italia per spesa corrente in sanità, per numero di donne che si sottopongono agli screening oncologici ed è la prima per migrazione sanitaria. E’ quanto emerge dal Report Svimez “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato oggi a Roma in collaborazione con Save the Children.  Contestualmente, Save the Children ha ribadito come i divari territoriali siano evidenti già a partire dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale il Servizio sanitario nazionale si posizioni come una eccellenza per la cura dei bambini, viene rilevato, le disuguaglianze territoriali sono molto accentuate. Secondo gli ultimi dati Istat il tasso di mortalità infantile era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, e più che doppio in Calabria. Dai dati di spesa sanitaria (di fonte Conti pubblici territoriali), è scritto in una nota, a fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria con 1.748 euro) e per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro.

Secondo le valutazioni dell’Istituto superiore di sanità, nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli. Riguardo alla quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati, si passa dal 63 e il 76% di regioni del Nord all’11,8% della Calabria, il dato più basso in Italia.  In relazione alla “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie è la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Sul fronte pediatrico, invece, l’indice in Calabria, nel 2020, è il 23,6% a fronte di una media nazionale dell’8,7% e con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise.

 AUTONOMIA DIFFERENZIATA AGGRAVA SITUAZIONE. IL REPORT SVIMEZ E SAVE THE CHILDREN

9 febbraio 2024 – Nel sud del Paese si fa meno prevenzione e la mortalità per tumori più elevata. La mobilità oncologica a lungo raggio al 43% in Calabria. Aumentare la spesa sanitaria dovrebbe essere la priorità nazionale. Andrebbe inoltre corretto il metodo di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico. Presentato a Roma il Report “Un paese, due cure. I divari Nord Sud nel diritto alla salute”. IL REPORT

Servizi di prevenzione e cura più carenti, minore spesa pubblica sanitaria, più lunghe distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi. E ancora, una prevenzione che spesso segna il passo e una mortalità per tumori più elevata.
È una strada tutta in salita quelle dei cittadini che vivono nelle regioni del Sud del Paese, costretti, appunto, a“fuggire” verso il Nord in particolare per le patologie più gravi: il 22% dei malati oncologici del meridione migra verso le strutture del settentrione.

Aumentare la spesa sanitaria diventa quindi una priorità nazionale. E andrebbe anche corretto il metodo di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico. Anche perché con l’autonomia differenziata si rischia di ampliare le disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute. Queste le principali considerazioni emerse dal Report Svimez “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato a Roma in collaborazione con Save the Children.

Il Report che scatta una fotografia delle condizioni territoriali del Ssn che riflettono la realtà dei divari Nord-Sud nella qualità dei Sistemi sanitari regionali. Divari territoriali, sottolinea Save the Children, evidenti già a partire dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale il Ssn si posizioni come una eccellenza per la cura dei bambini, sia dal punto di vista delle professionalità che della universalità di accesso alle cure, le disuguaglianze territoriali sono infatti molto accentuate: secondo gli ultimi dati Istat disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni mille nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). Già prima della pandemia, il numero dei consultori familiari si era andato assottigliando, con la conseguente carenza di presidi territoriali di prossimità fondamentali per sostenere la salute e il benessere materno-infantile.

Dopo l’emergenza Covid-19 si arresta la crescita della spesa sanitaria e restano ampi i divari territoriali I divari territoriali sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema sanitario che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche (in media 6,6% del PIL contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia), a fronte di un contributo privato comparativamente elevato (24% della spesa sanitaria complessiva, quasi il doppio di Francia e Germania). Dai dati regionalizzati di spesa sanitaria (di fonte Conti Pubblici territoriali) risultano livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, mediamente più contenuti nelle regioni meridionali. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro. Il monitoraggio Lea fa emergere i deludenti risultati del Sud: 5 regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti.

1,6 milioni di famiglie italiane in povertà sanitaria, di cui 700 mila al Sud A corredo di questo scenario il report Svimez ricorda poi lerecenti valutazioni del Crea secondo il quale sono il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la quota la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro).

Speranza di vita minore al Sud di 1,5 anni: più alta anche la mortalità per tumore Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell’offerta di servizi di prevenzione. Il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. È cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord; nel 2010 i due dati erano allineati.

Nel Mezzogiorno meno prevenzione oncologica Secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità, nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli. I dati relativi agli screening organizzati dai SSR confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in quanto compresi tra i LEA. La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, P.A. di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio Sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia.

Mobilità sanitaria: è ‘fuga’ dal Sud, in particolare per le patologie più gravi. Il 22% dei malati oncologici del Sud si fa curare al Nord. La “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso. È la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza.

Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga nel 2020 si attesta in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria. In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Irccs pediatrici.

L’autonomia differenziata in ambito sanitario aggrava le disuguaglianze interregionali L’obiettivo dell’equità orizzontale della sanità è ulteriormente messo a rischio dal progetto di autonomia differenziata, rileva lo Svimez. Sulla base delle risultanze del Comitato per l’individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, in particolare, tutte le Regioni a Statuto Ordinario potrebbero richiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai Lea in un lungo elenco di ambiti: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. La concessione di ulteriori forme di autonomia potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica. Tutto ciò, in un contesto in cui i Lea non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale e cinque delle otto Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti, determinerebbe una ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario. Con l’autonomia differenziata si rischierebbe dunque di aumentare la sperequazione finanziaria tra Ssr e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.

Per il direttore generale della Svimez Luca Bianchi: “La necessità di incrementare le risorse complessivamente allocate alla sanità convive con la priorità di potenziare da subito le finalità di equità del Ssn. I dati del report offrono la fotografia preoccupante di un divario di cura che si traduce in minori aspettative di vita e più alti tassi di mortalità per le patologie più gravi nelle regioni del Mezzogiorno. La scelta, spesso obbligata, di emigrare per curarsi oltre ai costi individuali finisce per amplificare i divari nella capacità di spesa dei diversi sistemi regionali. Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute. Una direzione opposta a quella che invece si propone con l’autonomia differenziata dalla quale deriverebbero ulteriori ampliamenti dei divari territoriali di salute e una conseguente crescita della mobilità di cura”.

“La condizione di povertà familiare incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull’accesso alle cure da parte dei bambini. È necessario un impegno delle istituzioni a tutti i livelli per assicurare una rete di servizi di prevenzione e cura per l’infanzia e l’adolescenza all’altezza delle necessità, con un investimento mirato nelle aree più deprivate. Occorre conoscere e superare i divari territoriali che oggi condizionano l’accesso ad un servizio sanitario che rischia di essere “nazionale” solo sulla carta. È un investimento da mettere al centro dell’agenda della politica”, ha dichiarato Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia – Europa di Save the Children. La Calabria è l’ultima regione in Italia per spesa corrente in sanità, per numero di donne che si sottopongono ai controlli contro i tumori ed è la prima per migrazione sanitaria. E’ quanto emerge dal Report Svimez “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato oggi a Roma in collaborazione con Save the Children.

    Contestualmente, Save the Children ha ribadito come i divari territoriali siano evidenti già a partire dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale il Servizio sanitario nazionale si posizioni come una eccellenza per la cura dei bambini, viene rilevato, le disuguaglianze territoriali sono molto accentuate.
Secondo gli ultimi dati Istat il tasso di mortalità infantile era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, e più che doppio in Calabria (3,9).
Dai dati di spesa sanitaria (di fonte Conti pubblici territoriali), è scritto in una nota, a fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria con 1.748 euro) e per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro.
Secondo le valutazioni dell’Istituto superiore di sanità, nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli. Riguardo alla quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati, si passa dal 63 e il 76% di regioni del Nord all’11,8% della Calabria, il dato più basso in Italia.
In relazione alla “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie è la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Sul fronte pediatrico, invece, l’indice in Calabria, nel 2020, è il 23,6% a fronte di una media nazionale dell’8,7% e con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise.

Migrazione sanitaria: il Sud paga, il Nord incassa

L’analisi della Fondazione Gimbe mostra come i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i preaccordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. Per il presidente Cartabellotta «una frattura strutturale destinata a essere aggravata dall’autonomia, con inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute». In Italia nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, cifra nettamente superiore ai 3,33 miliardi di euro dell’anno precedente. Il dato emerge dal Report sulla mobilità sanitaria 2021 elaborato dalla Fondazione Gimbe e pubblicato in occasione dell’avvio della discussione in Senato del Ddl Calderoli.

«Le nostre analisi», spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, «dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i preaccordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E che oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale vengono erogate dal privato accreditato, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica. Questi dati, insieme a quelli sull’esigibilità dei Livelli essenziali di assistenza – Lea, confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche regioni settentrionali» Lo studio Gimbe rivela come l’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari, in day hospital e le prestazioni di specialistica ambulatoriale. Il 9,4% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso).

Mobilità verso le strutture private

Oltre 1 euro su 2 viene speso per ricoveri e prestazioni specialistiche finisce nelle casse del privato: oltre 1.727 milioni di euro, rispetto a circa 1.433 milioni di euro delle strutture pubbliche. In particolare, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato circa 1.426 milioni di euro, mentre quelle pubbliche poco più di € 1.132 milioni di euro. Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, il valore erogato dal privato è di € 301 milioni, quello pubblico di circa 300 milioni di euro.

Mobilità sanitaria attiva e passiva

Lo studio fa emergere come tra le regioni del Nord e quelle del Sud risulta molto variabile la differenza tra la mobilità attiva, intesa come la capacità di attrarre di pazienti provenienti da altre regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione” dei pazienti dalla regione di residenza. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

«Quello della mobilità sanitaria», prosegue il presidente della Fondazione Gimbe, «è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi tra le diverse regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del nostro paese. Un gap diventato ormai una “frattura strutturale” destinata a essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute».

Il Servizio sanitario nazionale – Ssn garantisce l’assistenza ai cittadini iscritti nelle strutture sanitarie della propria regione di residenza ma ognuno può, comunque, esercitare il diritto di essere assistito, anche, in altre regioni, concretizzando il fenomeno noto come mobilità sanitaria interregionale che, spesso, è determinato dalla diversa capacità dei Sistemi sanitari regionali di rispondere ai bisogni dei propri cittadini. Tutto ciò comporta per i pazienti e i loro familiari un notevole investimento non solo di energie emotivi ma, anche, di risorse economiche.

Dalla Lombardia all’Emilia-Romagna passando per il Lazio sono tante le associazioni e le fondazioni che hanno avviato progetti di accoglienza per donare ai migranti sanitari un luogo accogliente e quanto più familiare capace di alleviare le tante fatiche a cui sono sottoposti. Negli scorsi mesi VITA ha avviato un viaggio tra le esperienze di ospitalità e sostegno verso chi è costretto a spostarsi lontano dal proprio domicilio per potersi curare (in questo pezzo ne segnaliamo alcune).

«Quando il dramma della malattia entra nella tua famiglia, quando il dolore e la paura si impossessano della tua vita e quando per la cura devi lasciare tutto e intraprendere i viaggi della speranza presso altre strutture in città diverse dalla tua, tutto diventa difficile, complicato, logorante. Trovare dove vivere diventa un problema. Ma quando hai la fortuna di essere accolta a Casa Emilia hai risolto parte dei tuoi problemi». Parola di Tina una delle 750mila persone che ogni anno si spostano per ragioni sanitarie. Un popolo, quello degli emigranti sanitari (così li chiamano gli analisti), che si sposta alla ricerca di opportunità di cura migliori, dove ci sono.

Il Servizio sanitario nazionale attraversa una gravissima crisi di sostenibilità che costringe, anche, le regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi. Secondo l’analisi Gimbe le maggiori autonomie già richieste da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto da un lato potenzieranno le performance di queste Regioni e, dall’altro, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale. La Fondazione fa notare come una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, rischia di provocare una fuga dei professionisti sanitari verso le segioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose.

Infine, per Gimbe, il DdL Calderoli rimane molto vago sulle modalità di finanziamento, oltre che sugli strumenti per garantire i Livelli essenziali delle prestazioni – Lep, secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale, per questo conclude Cartabellotta: «ribadiamo quanto già riferito il 23 maggio 2023 nell’audizione in prima commissione Affari costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le regioni possono richiedere maggiori autonomie».

La prevenzione secondaria (diagnosi precoce) può ridurre del 25% la mortalità per carcinoma mammario, su 1000 donne controllate da 50 a 79 anni si stima potrebbero salvarsi 7-9 donne.
Le regioni meridionali hanno problemi di copertura e di adesione allo screening mammografico che sfavoriscono l’accesso delle donne ai servizi di prevenzione secondaria .Al Sud solo il 45% delle donne che ne hanno diritto riceve l’invito a sottoporsi a mammografia. La media nazionale è del 74%. Esempio tipico è la Calabria in cui l’estensione effettiva de programma regionale di screening riguarda solo una parte di donne con eta 50-69 anni.
Il numero di donne invitate nel 2010 è pari a 56.000 con un’adesione totale del 29% la più bassa d’Italia (vedi tab. 1).

l Nord l’80% delle donne hanno eseguito la mammografia negli ultimi anni, al Sud il 49%.Al Nord l’80% ha ricevuto la lettera d’ invito dalle Asl,  al Sud il 49%, in Calabria il 44%. Ovviamente l’esecuzione del test mammografico è più diffusa tra le donne con livello socio-economico più alto. In Calabria vi è poi la minor diffusione dei programmi organizzati di screening.

Gli screening regionali andrebbero potenziati superando le difficoltà e la disparità che oggi incontrano nel quotidiano. Occorrerebbe raggiungere con l’invito più popolazione possibile, con una maggiore offerta di prevenzione che possa coinvolgere più donne possibili.

I Punti critici dell’organizzazione degli screening in Calabria secondo il Dipartimento Tutela della Salute, Politiche Sanitarie e Sociali della Regione Calabria sono:

  • Carenza del personale tecnico formato e dedicato alla senologia
  • Carenza di pianificazione con bassa adesione al programma
  • Carenza nella copertura della popolazione
  • Carenza di attrezzature e di unità mobili

Affinché i programmi di screening possano ridurre la mortalità, vi sono altri punti da rivedere e potenziare:

> superare i sistemi informatici obsoleti

> maggiore estensione  degli inviti

> maggiore adesione

> riorganizzare le strutture esistenti

Riteniamo che molto sia stato fatto in Italia in campo senologico ma tanto deve essere ancora fatto nelle regioni del Sud, ci auguriamo che investire in prevenzione significhi essere vicini alle donne per garantire il maggior benessere possibile al maggiore numero di persone  possibile. Per il futuro i costi socio-economici rischiano di esplodere se non si investe in prevenzione.La migrazione sanitaria ha notevoli ricadute sulle casse regionali, sulle donne e sulle famiglie. La migrazione sanitaria è indicativa di disuguaglianza nell’accesso ai servizi dando luogo a regimi di mercato tra regione e regione e tra pubblico e privato.

L’indice di fuga  maggiore per patologie oncologiche è quello della Calabria con il 55%.La malattia tumorale che con più frequenza comporta migrazione sanitaria è il tumore della mammella.

Le donne calabresi affette da tumore della mammella nel 40% dei casi si ricoverano in regioni diverse dalla Calabria. Queste donne in rari casi ritornano, per terapie e controlli ,nelle strutture oncologiche di residenza.Del 40% che migra l’85% è laureata.Non vi è quindi equità nel diritto alla salute poiché intervengono altri determinanti come il reddito,la classe sociale ed il livello d’istruzione nell’utilizzare i servizi e nella richiesta di prestazioni.

I posti letto per malati di tumore sono 7000 in Italia di cui 1080 in Lombardia e solo 174 in Calabria. L’impietosa e dolorosa verità è che le diagnosi e le cure non sono uguali per tutti nel nostro Paese. La percezione delle differenze e della inadeguatezza è diffusa.

Esiste poi una forte differenza tra le varie aree geografiche nella tempestività della diagnosi.Nelle aree del  Centro Nord il 50% dei tumori sono diagnosticati in fase precoce rispetto al 30% del Sud Italia.

La distribuzione per stadio del tumore è diversa tra Nord, Centro e Sud. Al Nord e al Centro il 60% dei tumori viene individuato nello stadio precoce, al Sud solo il 40%.

La mortalità si attesta su circa 13.000 donne l’anno  con un calo annuale del 2% a partire dalla fine degli anni 90.Dagli anni ’90 al 2000 la riduzione di mortalità è stata del 7%.Da 2007 al 2012 la mortalità decrescerà del 9%.

                   Mortalità: cambiamenti annuali stimati(%)

 Pool 9 registri tumori                     – 2 %

Nord Ovest                                       – 2,5 %

Nord Est                                           – 1,8 %

Centro                                               – 6,7 %

Sud e Isole                                        + 2,7 %

La sopravvivenza a 5 anni è in media del 90% nel Centro Nord e del 77% in Calabria. Questo risultato conferma come le donne del sud hanno un svantaggio nell’accedere ai servizi di prevenzione o di terapia che richiederebbe uno sforzo  specifico comunicativo ed organizzativo del servizio sanitario.

 Sopravvivenza relativa a 5 anni

Nord Ovest                        87 %

Nord Est                            85 %

Centro                                86 %

Sud e Isole                         81 %

Calabria                             77 %

La popolazione femminile considera la multidisciplinarietà l’approccio indispensabile per garantire alle donne diagnosi e cura migliori;nonostante mozioni parlamentari direttive Europee e l’impegno delle Associazioni ad oggi non si vedono concreti progetti operativi che possano superare la disomogeneità di diagnosi precoce e di trattamento ancora presenti nel nostro territorio.

L’Abruzzo, la Basilicata e la Calabria hanno il patrimonio tecnologico di diagnostica per immagini più obsoleto questo dato può incrementare il cancro di intervallo.Il tasso di carcinomi non evidenziabili dalla mammografia e’ però strettamente legato alla densità del seno, quindi la sensibilità dell’esame mammografico ha dei notevoli limiti nei casi di mammelle radiopache. Il ministero stima che in Italia i cancri di intervallo siano circa 2000 l’anno e il 30% se la mammografia e’ annuale, 50% se la mammografia come da screening e’ biennale.

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea riconosce alla persona il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ricevere cure mediche. Diritto previsto dalla nostra Costituzione all’art.32.

Ovviamente non basta incrementare gli screening e l’adesione della popolazione  ma serve anche incentivare l’accesso spontaneo alla prevenzione del tumore al seno estendendo le strutture diagnostiche nelle zone piu’ carenti.

Esiste infatti in ambito senologico una domanda di prevenzione e di prestazioni diagnostiche al di fuori delle fasce di età coinvolte dai programmi di screening regionali, le cui destinatarie sono solo donne della fascia di età 50/69 anni.

Le procedure ed i percorsi di accesso ai servizi non sono comuni sul territorio nazionale con tempistiche diverse e standard variabili.Abbiamo equità d’accesso alle prestazioni? Certamente no.

L’integrazione della mammografia con la visita senologica e l’ecografia appare giustificata perché si riducono gli errori di metodo e di interpretazione della mammografia:non vi è ragione scientifica se non organizzativa o economica per non praticare contestualmente alla mammografia l’ecografia nei seni densi.

Aumentando l’accuratezza diagnostica si evita di richiamare le donne per approfondimenti così da evitare situazioni stressanti.

La tempestività e la qualità dell’approfondimento diagnostico rappresentano momenti essenziali per la riduzione della mortalità del carcinoma mammario e per il successo terapeutico.

La situazione diagnostica attuale di molti centri di patologia mammaria, non solo in Calabria, è inaccettabile. Le donne con problemi di nodulo mammario sono costrette a recarsi in servizi ambulatoriali diversi, con medici diversi e spesso fuori regione, ciò determina ritardi, errori diagnostici, ansia e costi superflui.

C’è da rimarcare poi il possibile svantaggio derivante dai falsi positivi, lesioni diagnosticate si precocemente ma benigne che determinano biopsie inutili, ansie e sovratrattamento.Con una maggiore coordinazione e con standard adeguati di diagnosi potrebbero essere minimizzate le biopsie non necessarie, i falsi negativi, il numero di recidive e gli interventi mutilanti.

Nelle realtà regionali infine, non vi sono adeguati supporti sul piano psicologico e non si pone sufficiente attenzione agli aspetti delle comunicazioni ed al mantenimento di figure sanitarie di riferimento anche in campo diagnostico, terapeutico e riabilitativo.

Per agire al meglio occorrono competenze ed apparecchiature assemblate in un’unica sede allo scopo di fornire livelli omogenei di diagnosi con elevata qualità delle prestazioni offerte senza dover ricorrere a strutture diverse che aumentano in loro ansia e preoccupazione protratta per più giorni ed evitando inoltre la migrazione sanitaria da regione a regione.

Tutti gli approfondimenti diagnostici dovrebbero essere eseguiti nella stessa struttura. In senologia il massimo di accuratezza diagnostica ed il minimo di errori si ottengono se l’esame clinico e tutti gli accertamenti strumentali (mammografia, ecografia ed agoaspirazione) vengono eseguiti contemporaneamente. E’ questo il modulo lavorativo più efficace, più umano e più gradito alle donne.

Serve un sistema ed una organizzazione di lavoro che metta a disposizione delle donne una rete di servizi di diagnosi precoce su base territoriale e non solo di screening che sia attenta alle loro esigenze accogliendo il peculiare contributo che ciascuno/a potrà portare. Partendo dalle risorse presenti si potranno coordinare e sviluppare le attività diagnostiche particolari avendo cura e attenzione alla comunicazione medico-paziente.

L’Unità Funzionale di Senologia Diagnostica è uno spazio dedicato alla senologia, che concorre alla diagnosi della patologia maligna e benigna sia nelle donne asintomatiche sia nelle donne sintomatiche  per sospetta malattia tumorale sia per donne che si rivolgono spontaneamente  per prevenzione o per problemi legati a sintomi non sospetti, come il dolore. Deve porre particolare attenzione alle dotazioni tecnologiche, all’accessibilità ed alla gestione delle liste di attesa, deve disporre di mammografi digitali di ecografi dedicati ad alta frequenza con una età dell’ecografo inferiore a cinque anni.

L’unità deve avvalersi perlomeno di un mammografo digitale con stampante dedicata, di un ecografo con sonde di 10-13 MHz e color-power doppler e di strumentario per effettuare l’esame citologico e prelievi bioptici.

L’iter diagnostico clinico-strumentale dovrebbe essere esplicato nella stessa seduta in modo tale che la paziente possa avere nei casi sospetti la possibilità di praticare gli approfondimenti invasivi (agoaspirazione e biopsia) nell’arco di una settimana. Nei casi negativi od in assenza di sintomi si raccomanderà alla paziente la periodicità dei controlli successivi e si consiglierà l’autoesame.

Una struttura simile deve avvalersi di una collaborazione con il servizio terapeutico territoriale per garantire un accesso al ricovero nei casi di diagnosi tumorale, deve essere dotata di personale sanitario preparato ed inoltre essere collegata a Centri di terapia territoriali che possano anche contribuire al processo di formazione e aggiornamento professionale.

In ultimo, ma non per importanza, va considerato il ruolo dei medici di medicina generale che rivestono un ruolo chiave nel sensibilizzare le donne a partecipare ai programmi di diagnosi precoce, favorendo l’accesso alle prestazioni offerte dall’Unità Diagnostica di Senologia (UDS) rassicurando la donna quando persiste una condizione di ansia legata a patologie benigne e condividendo con la donna il programma terapeutico proposto nei casi di malignità.

L’attività diagnostica deve essere pianificata ed avere come obiettivo non solo la qualità delle prestazioni offerte ma anche l’accessibilità e la copertura più estesa possibile della popolazione.

E’ necessario che l’attività diagnostica di senologia raggiunga e mantenga dei livelli (standard) qualitativi aumentando il più possibile la copertura della popolazione sia nei confronti delle donne a presentazione spontanea sia per quelle invitate.

Allo stato attuale sarebbe auspicabile sentire e coinvolgere le associazioni femminili che con azioni progettuali forti e movimenti di opinione possano modificare da subito l’approccio diagnostico al cancro del seno definendo modalità ed obiettivi dei programmi di diagnosi precoce.

Nel giugno 2003  il Parlamento Europeo ha votato all’unanimità una Risoluzione elaborata dalla Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità che propone di fare della lotta al cancro al seno una priorità della politica sanitaria degli stati membri, migliorando prevenzione, screening, diagnosi e cura.

La realizzazione di un progetto di Unità Diagnostica di Senologia dovrebbe ridurre la fuga delle donne verso altre sedi ed istituzioni mediche con percorsi diagnostici integrati incrementando la copertura diagnostica superando la mobilità e la disomogenea distribuzione dei servizi.

L’approccio deve essere multidisciplinare e condiviso dalle donne

E’ dunque importante affermare che a fronte di una forte migrazione sanitaria e della carenza di unità diagnostiche di senologia, un modello condiviso e diffuso di salute non dovrebbe sottostare ad interessi stereotipati di marketing sanitario localistico

Vi è anche infatti da stigmatizzare il comportamento “aggressivo” di alcune regioni ed alcuni media che cercano di attrarre le pazienti ovunque si trovino.

Le donne e le associazione che le rappresentano chiedono interventi di politica sanitaria che possano contrastare la disuguaglianza che li esclude dalla prevenzione all’interno di un sistema di diritti ugualmente distribuito su tutto il territorio nazionale.

La tendenza economicistica sta erodendo il servizio sanitario con un rafforzamento di politiche regionali identitarie che circoscrivono  gli “uguali” cioè quelli che hanno il diritto ad avere la salute rispetto ai ” diversi”, quelli le cui domande sanitarie vanno respinte o perché donne o perché anziani o per territorio d’appartenenza.Le nuove generazioni stanno crescendo in un mondo dove tutti i rapporti, i valori, il lavoro ed i diritti sono regolati dall’obbedienza al volere del mercato che sembra una entità metafisica, invisibile che incide pesantemente sui bisogni e quindi anche sulla sanità.
E’ il mercato che con la crisi finanziaria impoverisce la sanità. Il mercato non ha però volto non ci mette la faccia eppure è in ogni luogo.Se partiamo dal mercato se lo lasciamo comandare è guerra è guerra di tutti contro tutti.
Forse le donne saranno in grado di inventare un’altro mondo dove noi maschi abbiamo fallito.
Senza l’espletarsi il diritto di cittadinanza senza il diritto di avere diritti senza passione ed impegno il fallimento sarà totale

Contrastare le disuguaglianze dovrebbe essere al primo posto dell’agenda politica sanitaria. La prevenzione deve essere uguale per tutti. Il perseguimento dell’eguaglianza dovrebbe essere un vincolo e non un valore in se’.Su questo vi e’ bisogno di un capovolgimento radicale di mentalità, orizzonti valori e linguaggi. Al Sud si hanno differenze in termini di reale opportunità di vita ma bisogna da parte  di tutti operare per il diritto alla cittadinanza effettiva e non confidare nell’aiuto personale perchè tutti hanno il diritto ad avere diritti.

il Sistema Sanitario Nazionale Italiano (Sistema Sanitario Nazionale) è alle prese con la sua crisi più grave dalla sua istituzione nel 1978.1 Un graduale aumento dei costi e le successive misure di contenimento, combinati con il decentramento del sistema sanitario negli anni 2000 che ha essenzialmente portato alla creazione di 20 sistemi sanitari distinti (uno per ogni regione), ha portato a una frammentazione e all’assistenza sanitaria eterogenea, un problema che è diventato fortemente evidente nel 2020 durante la pandemia di COVID-19.1, 2

La disparità storica tra le regioni settentrionali e meridionali dell’Italia è cresciuta e la scarsità di coordinamento tra servizi ospedalieri e territoriali ha creato un sostanziale divario nella copertura sanitaria. Inoltre, numerose posizioni di formazione in specialità chirurgiche e di emergenza rimangono incompiute, principalmente a causa della qualità della vita poco attraente e del rischio di contenzioso. Attualmente, un posto su quattro di formazione medica è a rischio di non essere assegnato.

La Calabria, una delle regioni più povere d’Italia con una popolazione di 2 milioni di abitanti, sta sda sempre affrontando una profonda crisi sanitaria. Ogni anno, più di 200 milioni di euro vengono spesi per la mobilità sanitaria passiva, con un calabrese su cinque che cerca cure mediche in altre regioni italiane, in particolare nel nord. Inoltre, un numero crescente di medici sta lasciando gli ospedali per lavorare nel settore privato a causa di migliori condizioni di lavoro. Molte posizioni di lavoro ospedaliere rimangono vacanti, con conseguente carenza di personale in vari reparti. Sarebbero necessari circa 2500 medici aggiuntivi per garantire il normale funzionamento del sistema sanitario regionale.. Ciò richiede un personale già sovraccarico che assume turni aggiuntivi o l’ospedale che utilizza costosi medici locum, che a volte sono medici che sono già in pensione.5

Per affrontare questo problema, nel 2022 il governo della Calabria ha stipulato un accordo con il governo cubano per assumere 497 medici cubani entro il 2024. Dal gennaio 2023, 270 medici cubani sono già stati impiegati con contratti annuali e sono stati assegnati alla maggior parte degli ospedali calabresi, principalmente nei servizi di emergenza, chirurgici e anestesiologia. La loro presenza ha impedito la chiusura di molti servizi e i riconoscimenti ufficiali già ricevuti dalle istituzioni locali e dalle associazioni di pazienti mostrano l’impatto positivo del loro lavoro sulle comunità locali.

Anche altre regioni italiane stanno prendendo in considerazione soluzioni simili per prevenire interruzioni del servizio. L’esistenza di un flusso inverso di risorse sanitarie dai paesi a basso reddito ai paesi ad alto reddito rappresenta una nuova dimensione della crisi sistemica nei servizi sanitari ad alto reddito e merita un’ulteriore analisi.