Screening, diagnosi precoce, salute, mercato

La diagnosi precoce del carcinoma della mammella è disuguale

Disuguaglianze di salute e determinanti sociali.

Nonostante il continuo aumento del livello medio della salute osservato negli ultimi decenni, importanti differenze in termini di speranza di vita, malattie e disabilità sono invece presenti sia all’interno dei paesi che tra di essi.

Tali differenze, se non giustificate da un punto di vista biologico, possono essere definite inique perché evitabili e riconducibili ai determinanti in grado di influire sulla salute.

Il contrasto alle disuguaglianze di salute necessita pertanto di un approccio olistico e intersettoriale che preveda la collaborazione e l’integrazione tra diversi settori delle politiche, sanitarie e non, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.

In questo ambito è stata recentemente istituita in ISS una struttura di missione temporanea “Disuguaglianze di Salute”  al fine di orientare le priorità di ricerca per la riduzione delle disuguaglianze di salute e costituire un punto di collegamento con altri stakeholder nazionali e  internazionali operanti in questo ambito.

Per saperne di più visita il sito: healthequity.iss.it

Il tumore della mammella è la neoplasia di gran lunga più frequentemente diagnosticata, rappresentando circa il 29% di tutte le diagnosi oncologiche nelle donne. Il rischio di avere una diagnosi di tumore alla mammella nel corso della vita è pari a una donna ogni otto. Si stima che nel nostro Paese ogni anno siano diagnosticati oltre 50.000 casi. L’incidenza presenta alcune differenze tra aree geografiche con livelli maggiori nelle aree centro-settentrionali e inferiori nel Meridione. È la principale causa di mortalità oncologica e rappresenta il 17% di tutti i decessi per cancro tra le donne italiane. Il tumore della mammella mostra livelli di sopravvivenza elevati, intorno all’85% a 5 anni dalla diagnosi. Le più recenti stime Airtum indicano che in Italia 522.235 donne hanno avuto, nel corso della vita, una diagnosi di tumore della mammella.

Svilupperanno un tumore al seno

– Una donna ogni 3.700 entro i 30 anni
– Una ogni 200 prima dei 40 anni
– Una ogni 50 entro i 50 anni
– Una ogni 24 entro i 60 anni
– Una ogni15 entro 70 anni di età
– Una donna su 9 nel corso della vita
La prevenzione secondaria (diagnosi precoce) può ridurre del 25% la mortalità per carcinoma mammario, su 1000 donne controllate da 50 a 79 anni si stima potrebbero salvarsi 7-9 donne.
Lo screening è un test mammografico gratuito compresi eventuali ulteriori accertamenti nel quadro di un programma nazionale sistematico e rappresenta un Lea (livello essenziale di assistenza) sottoposto a Linee Guida e raccomandazioni.
L’invito attivo a sottoporsi all’esame mammografico riguarda le donne 50-69 anni, in alcune regioni viene praticato a partire dai 45 anni.

Aspetti positivi screening mammografici

>Organizzazione meticolosa
>Invito personalizzato alle donne
>Gestione autonoma dei test
>Controlli di qualità in atto
>Diagnosi finalizzata a vantaggi terapeutici
>Costi relativamente limitati in Italia, 55 Euro (circa 100$ in media negli USA per singola donna).

Al Nord l’80% riceve la lettera d’invito dalle Asl, al Sud il 50%. Ovviamente l’esecuzione del test mammografico è più diffusa tra le donne con livello socio-economico più alto. In Calabria vi è la minor diffusione dei programmi organizzati di screening. Nel Sud il detection rate dei carcinomi invasivi inferiori o uguali al centimetro si attesta intorno all’1.18 per 1000 esami. Al Nord i dati sono diversi, il detection rate delle lesioni invasive è del 5.4 per 1000 esami
In Calabria il detection rate totale per cancro è di 0.54 per 1000 esami al primo esame, 1.97 per 1000 al secondo same; il detection rate per cancro inferiore a 10mm è di 0 al primo esame e di 0,41 al secondo esame. Il detection rate per tumori in situ è di 0 su 1000 al primo esame e 0 su 1000 al secondo esame. Purtroppo molti centri di riferimento per il Centro-Sud registrano bassi volumi di attività mediamente meno di 10.000 esami ed a volte meno di 5000 esami l’anno e nessuno supera i livelli auspicati di 25.000 esami per programma).
La proporzione di donne che partecipano allo screening rivela differenze geografiche. Rispetto a una partecipazione media italiana del 55%, al Nord si riscontra il 61%, al Centro il 57% ed al Sud il 34%. Le regioni meridionali hanno problemi di copertura e di adesione allo screening mammografico che sfavoriscono l’accesso delle donne ai servizi di prevenzione secondaria. Al Sud solo il 45% delle donne che ne hanno diritto riceve l’invito a sottoporsi a mammografia. Al Nord l’81% delle donne ha eseguito la mammografia negli ultimi anni, al Sud il 51%.
Esempio negativo è la Calabria in cui l’estensione effettiva del programma regionale di screening riguarda solo una parte di donne con età 50-69 anni. Il numero di donne invitate nel 2010 è pari a 55.000 con un’adesione totale del 29% la più bassa d’Italia.
Dovrebbero essere messi a punto interventi con operatori sociali mediatori culturali esperti nella comunicazione e associazioni femminili per aumentare l’adesione al programma.
In Calabria il numero medio di decessi è di circa 250 donne per anno mentre i ricoveri annuali ammontano a 1500 circa. Attualmente in assenza di registri dei tumori per deficit di flussi informativi informatizzati e per problemi di migrazione sanitaria extraregionale non è ben quantificabile l’entità del problema in termini epidemiologici.
La migrazione sanitaria ha notevoli ricadute sulle casse regionali, sulle donne e sulle famiglie. La migrazione sanitaria è indicativa di disuguaglianza nell’accesso ai servizi dando luogo a regimi di mercato tra regione e regione e tra pubblico e privato.
L’indice di fuga  maggiore per patologie oncologiche è quello della Calabria con il 55%.
La malattia tumorale che con più frequenza comporta migrazione sanitaria è il tumore della mammella.
Le donne calabresi affette da tumore della mammella nel 40% dei casi si ricoverano in regioni diverse dalla Calabria. Queste donne in rari casi ritornano, per terapie e controlli, nelle strutture oncologiche di residenza.Del 40% che migra l’85% è laureata. Non vi è quindi equità nella salute poiché intervengono altri determinanti come il reddito, la classe sociale ed il livello d’istruzione nell’utilizzare i servizi e nella richiesta di prestazioni.
I posti letto per malati di tumore sono 7000 in Italia di cui 1080 in Lombardia e solo 174 in Calabria. L’impietosa e dolorosa verità è che le diagnosi e le cure non sono uguali per tutti nel nostro Paese. La percezione delle differenze e della inadeguatezza è diffusa.
Esiste poi una forte differenza tra le varie aree geografiche nella tempestività della diagnosi.
Nelle aree del  Centro Nord il 50% dei tumori sono diagnosticati in fase precoce rispetto al 30% del Sud .Tutto ciò si ripercuote sulla sopravvivenza.

Sopravvienza a 5 anni
Nord Ovest          87%
Nord Est              85%
Centro                  86%
Sud e Isole           81%
Calabria               77%

L’Abruzzo, la Basilicata e la Calabria hanno il patrimonio tecnologico di diagnostica per immagini più obsoleto.
L’obiettivo principale dei programmi di screening mammografico è ridurre la mortalità invitando le donne a sottoporsi al controllo  mammografico periodico. La diagnosi precoce mediante mammografia determina inoltre un miglioramento della qualità di vita favorendo la diffusione di trattamenti conservativi.
Preliminarmente è indispensabile fare alcune considerazioni, lo screening deve rispondere ad alcuni requisiti:
• il programma promuove, facilita e controlla la partecipazione della popolazione bersaglio
• la popolazione bersaglio va preventivamente identificata
• sono da definire ed organizzare i vari momenti diagnostici e terapeutici che si rendono necessari nei soggetti positivi
• vanno attivati gli strumenti di valutazione dell’efficacia, dei costi e dell’organizzazione del programma
• iniziative di massa devono non solo promettere ma anche mantenere il risultato atteso (riduzione della mortalità)
• gli screening richiedono una organizzazione complessa ed una continua e periodica valutazione della qualità delle prestazioni offerte.

Nonostante l’impegno profuso dai sanitari nei programmi di screening si evince una scarsa partecipazione e problemi di copertura della popolazione. Da questionari forniti a donne invitate allo screening risulta che la proporzione di donne calabresi tra i 50 e 70 anni che ha effettuato una mammografia negli ultimi due anni non è superiore al 3%. Gli screening in Calabria non sono adeguatamente estesi e le adesioni all’invito a sottoporsi a mammografia non superano il 40% della popolazione di 50-69 anni invitata.
Secondo il GISMA (Gruppo Italiano per lo screening mammografico) lo standard accettabile di adesione delle donne al programma dovrebbe essere superiore al 60%. I punti critici dell’organizzazione degli screening nel Sud e in Calabria secondo il Dipartimento Tutela della Salute, Politiche Sanitarie e Sociali della regione Calabria sono:

•        Carenza di personale tecnico formato e dedicato alla senologia
•        Carenza di pianificazione con bassa adesione al programma
•        Carenza nella copertura della popolazione
•        Carenza di attrezzature e di unità mobili.

Affinché i programmi di screening possano ridurre la mortalità, vi sono altri punti da rivedere e potenziare:

superare i sistemi tecnologici e informatici obsoleti
> maggiore estensione degli inviti
> maggiore adesione
> riorganizzare le strutture esistenti.

Riteniamo che molto sia stato fatto in Italia nella diffusione dello screening ma tanto deve essere ancora fatto nelle regioni del Sud, ci auguriamo che investire in prevenzione significhi essere vicini alle donne per garantire il maggior benessere possibile al maggiore numero di persone possibile.
Per il futuro i costi socio-economici rischiano di esplodere se non si investe in prevenzione. Ogni anno in Italia si ammalano di tumore al seno circa 46.000 donne e altre 10.000 donne ogni anno sviluppano recidive e metastasi con un costo complessivo dell’ordine di 2 miliardi di euro.
La migrazione sanitaria ha notevoli ricadute sulle casse regionali, sulle donne e sulle famiglie. Il costo della migrazione sanitaria per la Calabria è superiore a 300 milioni di euro con 7o.000 calabresi che ogni anno si rivolgono ad altre regioni per farsi curare. La migrazione sanitaria è indicativa di disuguaglianza nell’accesso ai servizi dando luogo a regimi di mercato tra regione e regione e tra pubblico e privato.
L’indice di fuga  maggiore per patologie oncologiche è quello della Calabria con il 55%
Le donne calabresi affette da tumore della mammella nel 40% dei casi si ricoverano in regioni diverse dalla Calabria. Queste donne in rari casi ritornano, per terapie e controlli, nelle strutture oncologiche di residenza. Del 40% che migra l’85% è laureata. Non vi è quindi equità nel diritto alla salute poiché intervengono altri determinanti come il reddito, la classe sociale ed il livello d’istruzione nell’utilizzare i servizi e nella richiesta di prestazioni. Interviene quello che i sociologi definiscono gradiente sociale, il legame diretto tra reddito e salute. In termini di sopravvivenza vi è una differenza del 10-15% tra le donne con stato socioeconomico basso e le donne con situazione economica più elevata. Con i tagli i servizi già inefficienti hanno subito un definitivo tracollo le donne sono quindi più a rischio.
I posti letto per malati di tumore sono 7000 in Italia di cui 1080 in Lombardia e solo 174 in Calabria. L’impietosa e dolorosa verità è che le diagnosi e le cure non sono uguali per tutti nel nostro Paese. La percezione delle differenze e della inadeguatezza è diffusa.
Esiste poi una forte differenza tra le varie aree geografiche nella tempestività della diagnosi.
Nelle aree del  Centro Nord il 50% dei tumori sono diagnosticati in fase precoce rispetto al 30% del Sud Italia.
La distribuzione per stadio del tumore è diversa tra Nord, Centro e Sud. Al Nord e al Centro il 60% dei tumori viene individuato nello stadio precoce, al Sud solo il 40%. La mortalità in Italia si attesta su circa 13.000 donne l’anno  con un calo annuale del 2% a partire dalla fine degli anni 90. Dagli anni ’90 al 2000 la riduzione di mortalità è stata del 7%.Da 2007 al 2012 la mortalità decrescerà del 9%.

Nonostante mozioni parlamentari direttive Europee e l’impegno delle Associazioni a oggi non si vedono concreti progetti operativi che possano superare la disomogeneità di diagnosi precoce e di trattamento ancora presenti nel nostro territorio. Nelle regioni del Nord Italia i tumori vengono diagnosticati più precocemente di quanto non si riesca a fare al Sud. A svelarlo è lo studioEurocare-5, pubblicato dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano su Cancer Epidemiology, secondo cui le differenze riscontrate dipenderebbero da uno squilibrio nell’uso degli strumenti diagnostici più avanzati. nonostante questa differenza, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi non è molto diversa nelle differenti regioni. Se, infatti, al Nord è vicina all’89%, al Sud si attesta attorno ad un non molto diverso 85%.
Analizzando i dati raccolti da 14 Registri Tumori presenti nella banca dati dell’Airtum (l’Associazione Italiana Registri Tumori) gli esperti hanno ad esempio rilevato che per quanto riguarda il tumore al seno nelle regioni del Nord la diagnosi avviene ad uno stadio precoce nel 45% dei casi, mentre al Sud i casi con metastasi alla diagnosi sono più frequenti. A Napoli e Ragusa, ad esempio, l’identificazione precoce avviene solo nel 26% delle pazienti. Concentrando, invece, l’attenzione sui trattamenti successivi alla diagnosi è emerso che a parità di età e di stadio alla diagnosi la probabilità che si effettui un intervento conservativo (che non preveda, cioè, l’asportazione della mammella) a Napoli o a Sassari è inferiore del 30-40% inferiore alla media italiana.
Secondo gli esperti dell’istituto “l’adesione a standard diagnostico-terapeutici internazionali, quindi, è in generale soddisfacente al Centro-Nord e carente al Sud. Per il tumore della mammella, la scarsa applicazione di linee guida nelle aree di Sassari e Napoli è attribuibile non solo alla scarsa disponibilità di strutture radioterapiche (che quindi induce il chirurgo ad effettuare trattamenti più radicali al fine di prevenire le recidive loco regionali, in assenza di radioterapia), ma anche a un insufficiente aggiornamento professionale e alla frammentazione di strutture sanitarie che trattano i pazienti oncologici”.
Salvatore Palazzo, Vice Presidente del Collegio dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (Cipomo), ha spiegato che i tassi di sopravvivenza riscontrati indicano che “forse la faticosa e costosa ‘ricerca dell’altrove’ e della migrazione sanitaria dal Sud non porta probabilmente quei miglioramenti risolutivi sperati rivolgendosi al Nord” e che i risultati di questo studio indicano che “nonostante tutte le difficoltà in cui versa l’Oncologia Medica del Sud, i pazienti possono assolutamente essere tranquillizzati”.
Il tasso di carcinomi non evidenziabili dalla mammografia e’ però strettamente legato alla densità del seno, quindi la sensibilità dell’esame mammografico ha dei notevoli limiti nei casi di mammelle radiopache. Il ministero stima che in Italia i cancri di intervallo siano circa 2000 l’anno; il 30% se la mammografia è annuale, 50% se la mammografia come da screening e’ biennale. Molti tendono ad identificare le discipline mediche con la tecnologia più appariscenti e un po’ spettacolari, un atteggiamento che esorcizza la paura della malattia e della morte con il miraggio dell’infallibilità e dell’immortalità. Nelle procedure sanitarie, specie in quelle che utilizzano esami ad alto contenuto tecnologico si dà per scontatto la sicurezza diagnostica e l’assenza di errori. Ma gli errori verificandosi vengano considerati insuccessi e quindi colpe. Per ridurre il cancro di intervallo potrebbe essere praticata la mammografia annualmente e non ogni due anni. Questa opzione ,però, non è compatibile economicamente con l’attuale capacità di offerta del Servizio Sanitario Nazionale.
Poiché è dimostrato che l’aggiunta dell’ecografia alla Mx aumenta la sensibilità è stato proposto di utilizzare i due test contestualmente nel seno denso. Anche questa soluzione non è ritenuta sostenibile, nonostante possa ridursi del 20% il cancro di intervallo. Innanzitutto il tempo che un medico impiega per fare un’ecografia è dieci volte superiore a quello che impiega per leggere una mammografie. Inoltre l’ecografia può incrementare i test diagnostici su donne che poi risultano sane(falsi positivi).I cancri di intervallo non sono eliminabili; nel 60% non risultano visibili alla mammografia, circa il 20% presentano solo segni minimi di sospetto( quelli col senno di poi)e meno del 20% possono essere definiti errori di screening.

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione Europea riconosce alla persona il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ricevere cure mediche. Diritto previsto dalla nostra Costituzione all’art. 32.
Ovviamente non basta incrementare gli screening e l’adesione della popolazione  ma serve anche incentivare l’accesso spontaneo alla prevenzione del tumore al seno nelle fasce d’età non previste e coperte dallo screening estendendo le strutture diagnostiche nelle zone più carenti.
Esiste infatti in ambito senologico una domanda di prevenzione e di prestazioni diagnostiche al di fuori delle fasce di età coinvolte dai programmi di screening regionali, le cui destinatarie sono solo donne della fascia di età 50/69 anni.
Le procedure e i percorsi di accesso ai servizi non sono comuni sul territorio nazionale hanno tempistiche diverse e standard variabili. Abbiamo equità d’accesso alle prestazioni? Certamente no. Se tutti ci metteremo impegno e passione saremo capaci di dare una spinta considerevole alla crescita della prevenzione nel nostro territorio in modo che la Calabria non sia più la cenerentola di Italia nella lotta al tumore al seno contrastando la forte migrazione sanitaria.
L’integrazione della mammografia con la visita senologica e l’ecografia appare giustificata perché si riducono gli errori di metodo e di interpretazione della mammografia. Nessuno esame è perfetto anche l’ecografia la visita ed in certi casi la Rm sono utili
Aumentando però con l’ecografia l’accuratezza diagnostica si evita di richiamare le donne per approfondimenti così da evitare situazioni stressanti.
La tempestività e la qualità dell’approfondimento diagnostico rappresentano momenti essenziali per la riduzione della mortalità del carcinoma mammario e per il successo terapeutico.

La prevenzione secondaria è dunque basata su visite senologiche ed esami diagnostici. La visita senologica rappresenta un esame clinico che però non è in grado di fornire una diagnosi precisa, ma è spesso utile ricorrere ad altri esami, in seguito riportati e descritti (AIRC, 2013).  Qualora a seguito della visita senologica, infatti, sia stata avvertita la presenza di un nodulo mammario o siano stati riscontrati dei sintomi tali da giustificare un accertamento diagnostico, si procede effettuando lo screening mammografico. Gli accertamenti mammografici, studiando struttura e forma della ghiandola mammaria, consentono di individuare precocemente eventuali forme tumorali, ovvero noduli non ancora percepibili al tatto. L’esito positivo di questo esame non corrisponde ad una diagnosi certa, nonostante ciò comporti comunque un aumento di probabilità di aver contratto la patologia, e per tale ragione vengono effettuati ulteriori accertamenti diagnostici. Anche la tomosintesi mammaria è un esame diagnostico adatto allo scopo che consente uno studio molto più accurato rispetto alla mammografia. L’ecografia mammaria, invece, non rappresenta un’alternativa alla mammografia bensì un esame complementare a quest’ultima. Diversi studi hanno infatti dimostrato come lo screening ecografico supplementare per le pazienti con mammelle dense aumenti significativamente l’individuazione dei cancri di 2.3-4.6 carcinomi occulti alla mammografia ogni 1.000 donne sottoposte a screening (Hooley et al., 2013) Altro strumento diagnostico molto potente che consente l’individuazione del tumore, seppur complementare a quello mammografico ed ecografico e non sostitutivo, è rappresentato dalla Risonanza Magnetica e dalla CEM, applicabile solamente a casi selezionati, definiti dalle linee guida della letteratura medico scientifica internazionale nei casi a rischio alto.

La situazione diagnostica attuale di molti centri di patologia mammaria, non solo in Calabria, è inaccettabile. Le donne con problemi di nodulo mammario sono costrette a recarsi in servizi ambulatoriali diversi, con medici diversi e spesso fuori regione, ciò determina ritardi, errori diagnostici, ansia e costi superflui.
C’è da rimarcare poi il possibile svantaggio derivante dai falsi positivi, lesioni diagnosticate si precocemente ma benigne che determinano biopsie inutili, ansie, sovradiagnosi e sovratrattamento.
Con una maggiore coordinazione e con standard adeguati di diagnosi potrebbero essere minimizzate le biopsie non necessarie, i falsi negativi, il numero di recidive e gli interventi mutilanti.
Nelle realtà regionali infine, non vi sono adeguati supporti sul piano psicologico e non si pone sufficiente attenzione agli aspetti delle comunicazioni ed al mantenimento di figure sanitarie di riferimento anche in campo diagnostico, terapeutico e riabilitativo.
Per agire al meglio occorrono competenze ed apparecchiature assemblate in un’unica sede allo scopo di fornire livelli omogenei di diagnosi con elevata qualità delle prestazioni offerte senza dover ricorrere a strutture diverse che aumentano in loro ansia e preoccupazione protratta per più giorni ed evitando inoltre la migrazione sanitaria da regione a regione.
Tutti gli approfondimenti diagnostici dovrebbero essere eseguiti nella stessa struttura. In senologia il massimo di accuratezza diagnostica ed il minimo di errori si ottengono se l’esame clinico e tutti gli accertamenti strumentali (mammografia, ecografia ed agoaspirazione) vengono eseguiti contemporaneamente. E’ questo il modulo lavorativo più efficace, più umano e più gradito alle donne.
Serve un sistema ed una organizzazione di lavoro che metta a disposizione delle donne una rete di servizi di diagnosi precoce su base territoriale e non solo di screening che sia attenta alle loro esigenze accogliendo il peculiare contributo che ciascuno/a potrà portare. Partendo dalle risorse presenti si potranno coordinare e sviluppare le attività diagnostiche particolari avendo cura e attenzione alla comunicazione medico-paziente

L’Unità Funzionale di Senologia Diagnostica è uno spazio dedicato alla senologia, che concorre alla diagnosi della patologia maligna e benigna sia nelle donne asintomatiche sia nelle donne sintomatiche per sospetta malattia tumorale sia per donne che si rivolgono spontaneamente  per prevenzione o per problemi legati a sintomi non sospetti, come il dolore. Deve porre particolare attenzione alle dotazioni tecnologiche, all’accessibilità ed alla gestione delle liste di attesa, deve disporre di mammografi digitali di ecografi dedicati ad alta frequenza con un’età dell’ecografo e del mammografo inferiore a cinque anni
L’unità deve avvalersi perlomeno di un mammografo digitale con stampante dedicata, di un ecografo con sonde di 10-13 mhz e color-power doppler e di strumentario per effettuare l’esame citologico e prelievi bioptici
L’iter diagnostico clinico-strumentale dovrebbe essere esplicato nella stessa seduta in modo tale che la paziente possa avere nei casi sospetti la possibilità di praticare gli approfondimenti invasivi (agoaspirazione e biopsia) nell’arco di una settimana. Nei casi negativi od in assenza di sintomi si raccomanderà alla paziente la periodicità dei controlli successivi e si consiglierà l’autoesame.E’ fonda mentale programmare una prevenzione personalizzata secondo la fascia d’età, la famigliarità e la densità del seno. Con le nuove tecnologie di mammografia digitale, tomosintesi, Cad e test aggiuntivi, ecografia ed agobiopsia si potrebbe ridurre il cancro di intervallo e dare risposte al bisogno di diagnosi precoce delle donne in tutte le fasce di età.
Una struttura simile deve avvalersi di una collaborazione con il servizio terapeutico territoriale per garantire un accesso al ricovero nei casi di diagnosi tumorale, deve essere dotata di personale sanitario preparato ed inoltre essere collegata ad Unità di Senologia che possano anche contribuire al processo di formazione e aggiornamento professionale.
In ultimo, ma non per importanza, va considerato il ruolo dei medici di medicina generale che rivestono un ruolo chiave nel sensibilizzare le donne a partecipare ai programmi di diagnosi precoce, favorendo l’accesso alle prestazioni offerte dall’unità Diagnostica di Senologia (UDS) rassicurando la donna quando persiste una condizione di ansia legata a patologie benigne e condividendo con la donna il programma terapeutico proposto nei casi di malignità. Di concerto con le associazioni femminili ed i medici di medici generale si potrebbe soddisfare l’attività di diagnosi precoce spontanea ed uniformare le condizioni di accesso riducendo le liste d’attesa.
L’attività diagnostica deve essere pianificata ed avere come obiettivo non solo la qualità delle prestazioni offerte ma anche l’accessibilità e la copertura più estesa possibile della popolazione.
E’ necessario che l’attività diagnostica di senologia raggiunga e mantenga dei livelli (standard) qualitativi aumentando il più possibile la copertura della popolazione sia nei confronti delle donne a presentazione spontanea sia per quelle invitate.
Allo stato attuale sarebbe auspicabile sentire e coinvolgere le associazioni femminili che con azioni progettuali forti e movimenti di opinione possano modificare da subito l’approccio diagnostico al cancro del seno definendo modalità ed obiettivi dei programmi di diagnosi precoce.
Nel giugno 2003  il Parlamento Europeo ha votato all’unanimità una Risoluzione elaborata dalla Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità che propone di fare della lotta al cancro al seno una priorità della politica sanitaria degli stati membri, migliorando prevenzione, screening, diagnosi e cura.
La realizzazione di un progetto di Unità Diagnostica di Senologia dovrebbe ridurre la fuga delle donne verso altre sedi ed istituzioni mediche con percorsi diagnostici integrati incrementando la copertura diagnostica superando la mobilità e la disomogenea distribuzione dei servizi.L’approccio deve essere multidisciplinare e condiviso dalle donne

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1946 ha così definito il concetto di salute: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità”. L’OMS ha sempre chiesto ai governi di adoperarsi responsabilmente, attraverso un programma di educazione alla salute, per la promozione di uno stile di vita consono allo sviluppo di condizioni pratiche in grado di garantire ai cittadini un alto livello di benessere.
A questi principi si aggiunga anche quanto affermato nella “Carta di Ottawa” (documento redatto nel 1986 durante “Conferenza internazionale per la promozione della salute”).
Il diritto alla salute e la salute del mercato

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1946 ha così definito il concetto di salute: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità”. L’OMS ha sempre chiesto ai governi di adoperarsi responsabilmente, attraverso un programma di educazione alla salute, per la promozione di uno stile di vita consono allo sviluppo di condizioni pratiche in grado di garantire ai cittadini un alto livello di benessere.
A questi principi si aggiunga anche quanto affermato nella “Carta di Ottawa” (documento redatto nel 1986 durante “Conferenza internazionale per la promozione della salute”): “Grazie ad un buon livello di salute l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e di adattarvisi”.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione Europea riconosce alla persona il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ricevere cure mediche. In Italia, abbiamo un esempio di disposizione legislativa nell’articolo 32 della Costituzione che sancisce la tutela della salute come un fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività. Accogliendo i principi dell’ OMS nella legge n° 833 del 1978 la quale, in fatto di promozione della salute, definita fisica e psichica, sottolinea l’importanza della prevenzione come supporto al benessere generale dell’individuo e sostiene inoltre la necessità di formare una “moderna coscienza” di cura della salute sulla base di una adeguata educazione del cittadino e della comunità. Diritto alla salute previsto dalla nostra Costituzione all’art.32. I pilastri del servizio sanitario erano l’universalità, l’uniformità, la globalità.Il sistema sanitario è lo specchio della realtà è il primo indicatore sul quale si misura un paese, una comunità civile. La salute era la precondizione il fondamento per lo sviluppo economico e sociale di un paese.
Si vive sempre più a lungo, con l’Italia tra i Paesi più longevi d’Europa, ma sono forti le disuguaglianze sociali. Le donne, a fronte dello storico vantaggio rispetto agli uomini in termini di longevità, sono più svantaggiate in termini di qualità della sopravvivenza: in media, oltre un terzo della loro vita è vissuto in condizioni di salute non buone. Il Mezzogiorno vive una doppia penalizzazione: una vita media più breve e un numero minore di anni vissuti senza limitazioni. Le donne che risiedono in quest’area, a 65 anni possono contare di vivere in media ancora 7,3 anni senza problemi di limitazione nelle attività quotidiane, mentre le loro coetanee del Nord hanno un’aspettativa di 10,4 anni da vivere in tale condizione.

La popolazione continua a essere minacciata da comportamenti a rischio: l’obesità è in crescita (circa il 50% della popolazione maggiorenne e il 30% dei bambini in età 8-9 anni è in sovrappeso o obesa); l’abitudine al fumo, soprattutto radicata fra i giovani (se nel 2001 i fumatori erano il 23,7% della popolazione di 14 anni e più, dieci anni dopo tale percentuale è scesa solo di un punto); l’abuso nel consumo di bevande alcoliche tra i giovani; uno stile di vita sedentario (circa il 40% degli adulti non svolge alcuna attività fisica nel tempo libero); poco consumo di frutta e verdura (l’80% della popolazione ne consuma meno di quanto raccomandato).

Si continua a discutere di salute ragionando in termini eminentemente aziendalistici. Non sarà l’efficienza sanitaria a risolvere i problemi della salute e non lo sarà neanche la gestione etica dell’allocazione delle risorse della sanità. L’offerta sanitaria va rivista, ma è soprattutto sulla domanda di salute, piuttosto che sul recupero della salute persa e sulla assistenza sanitaria, che occorrerebbe agire efficacemente. Per quanto riguarda l’offerta, occorre puntare più su una medicina umanistica, che ponga al centro il cittadino, i suoi diritti, i suoi valori, i suoi bisogni piuttosto che sulla tecnicizzazione aziendalistica imperante e sulla medicalizzazione della vita. Oggi, prima ancora di ascoltarlo si sottopone il paziente ad una serie di indagini e solo dopo ci si parla. Si tratta di una relazione impersonale. Non è paradossale che da diversi anni sia esploso il contenzioso medico legale, proprio da quando si è assistito ad un incredibile sviluppo delle tecnologie diagnostiche e terapeutiche? E’ nata una nuova disciplina medica, la medicina difensivistica, che rappresenta una delle spese sanitarie e sociali più importanti per la comunità. E’ provato che per ridurre la conflittualità, basterebbe dedicare qualche minuto in più all’ascolto.
Sarebbe opportuno impegnarsi promuovendo la prevenzione primaria, quella che non attira i grandi capitali, le multinazionali della sanità che stanno condizionando le nostre vite. Attualmente vi sono dedicate solo le briciole. La spesa sanitaria per la prevenzione è la più bassa d’Europa con lo 0,50%. E’ parzialmente vero che la domanda di sanità aumenta perché aumenta la speranza di vita media. Premesso che in certe zone del mondo occidentale si sta assistendo ad una riduzione della speranza di vita media, il dato che dovrebbe fare riflettere è che in Italia, dal 2003, sta precipitando la speranza di vita media “sana”. A farla precipitare non è l’invecchiamento ma il condizionamento dei determinanti sociali, comportamentali, alimentari ed ambientali, l’inquinamento è causa di innumerevoli malattie.
La diseducazione alimentare, alimentata da una diseducativa pubblicità e dal cibo ridotto ad avanspettacolo televisivo, sta rendendo i bambini italiani sempre più obesi, predisponendoli così a tutta una serie di malattie che graveranno sul bilancio delle famiglie e della collettività, ad oggi il costo annuale di obesità e sovrappeso è di 23 miliardi di euro. I nostri carrelli della spesa sono pieni di prodotti confezionati, trasformati, pieni di calorie e di additivi ma poveri di nutrienti importanti per la nostra salute. La strada verso la consapevolezza alimentare è in salita, comprendere la differenza fra cibo e non-cibo è un processo lungo. Il cibo vero ci dona salute e benessere. Il cibo finto peggiora e distrugge la salute. All’inizio del sentiero il primo cartello orientativo dice: abbiamo il dovere/diritto di sapere quello che mangiamo e siamo responsabili di quello che compriamo. Il secondo è cercare il cibo vero tornando al fresco. Tutto il resto va comprato con parsimonia sia perché la trasformazione industriale non rispetta la qualità, sia perché gli alimenti trasformati costano di più. Il rapporto prezzo/valore nutrizionale è decisamente ottimale negli alimenti freschi da agricoltura sana rispetto ai cibi industriali.
Le nostre scelte alimentari influenzano, non solo la nostra salute e quella dei nostri familiari, ma anche quella dell’ecosistema, inteso nella sua globalità. Ogni prodotto, infatti, dal processo di produzione fino a quello della distribuzione, prevede un determinato consumo energetico e di risorse idriche ed un conseguente rilascio di CO2 nell’ambiente.
Siamo sicuri che investendo in terapie più efficaci per la cura del cancro, che puntando sugli screening, che utilizzando farmaci più efficaci per curare le malattie cronico-degenerative, che incentrando tutta l’attenzione sul costo, sugli equilibri economico-finanziari piuttosto che sulla prevenzione si risolveranno i problemi della salute degli individui e della collettività? Non è piuttosto riscoprendo il suo ruolo sociale di educatore alla salute, piuttosto che di venditore di prestazioni sanitarie, che il medico potrà legittimarsi di fronte alla comunità alla quale appartiene? Rammentiamo che in medicina fare di più non significa fare meglio. Il costo di sprechi e medicina difensiva è di circa 27 miliardi.
La cultura del cibo è un passo importante per tutelare la qualità della vita per l’uomo e per il pianeta. Il nostro Paese è culla della dieta mediterranea fatta di olio d’oliva, pasta, ortaggi, formaggi, vino: molteplici e unici prodotti della terra e della fatica dell’uomo, dietro ai quali ci sono volti, mani, menti e terre generose. Il cibo prodotto, trasformato, distribuito, preparato, consumato, fatto scarto e ritrasformato si fa oggetto di ricerca culturale oltre il crescendo interesse mediatico-commerciale
Per la nostra salute le cose più importanti sono il cibo sano, lo stile di vita e l’ambiente più che un’abbondanza di servizi sanitari. Il cibo è uno strumento del vivere sano, espressione di socialità tra generazioni e popoli, specchio della memoria e guida orientativa dell’economia sostenibile del territorio, locale e globale.
Purtroppo i servizi sanitari che ci gestiscono non hanno un interesse immediato a capirlo e invece di investire in prevenzione o investire sull’ambiente preferiscono investire e sprecare nei servizi sanitari e farmaceutici aumentando ospedali e sanità di mercato ma non salute!!
Salute –stile di vita– cibo: è stato dimostrato che con una dieta sana, una regolare attività fisica e abolendo l’uso del tabacco possono  essere evitati fino all’80% delle malattie coronariche, il 90% dei casi di diabete di tipo 2, e il 40% dei casi di tumori. E’ più importante curare le nostre malattie o tutelare e conservare uno stato di salute? Che fare?
Incrementare il tempo di attività fisica (attività ricreative): – almeno 1 ora di attività moderata al giorno-almeno 1 ora di attività più intensa /settimana. Ridurre le attività sedentarie.
Alimentazione basata principalmente su alimenti di origine vegetale, a basso indice glicemico e ricca in sostanze antiossidanti e fibra , povera di alimenti e condimenti di origine animale e di alimenti “pronti”, povera di acidi grassi saturi e acidi grassi “trans” con esclusione di bevande zuccherate e con ridotti consumi di bevande alcoliche.Uso esclusivo di olio extravergine di oliva come grasso di condimento e cottura
SANITA’, MERCATO
In Italia il sistema sanitario è organizzato sul modello del Servizio sanitario nazionale le cui caratteristiche principali dovrebbero essere l’universalità, cioè l’uguaglianza del diritto alla salute e all’accesso ai servizi, ma anche e soprattutto di efficacia; il finanziamento dell’SSN avviene attraverso la fiscalità diretta, quindi proporzionale al reddito. Lo smantellamento del servizio sanitario è cominciato nel ‘92 con la scomparsa delle Usl e il passaggio alle Asl con l’arrivo di figure manageriali che perseguono un unico obiettivo, non di fornire servizi preventivi e clinici di qualità, ma di contenere la spesa sanitaria per arrivare alla parità di bilancio. Il loro lavoro è giudicato non in base ai risultati clinici ma sulle base di parametri economici e finanziari.
I principi ispiratori della legge 833 vengono capovolti la salute è trattata come una merce viene creato il mercato delle prestazioni sanitarie a cui il cittadino diventato cliente si rivolge in base al proprio reddito. Dapprima avevamo un organismo che gestiva la sanità oggi abbiamo un organismo più o meno complesso che svolge una attività economica: Asl, azienda sanitaria locale, ma le aziende non trattano prodotti, merci, non amministrano affari, patrimoni, benché pubblici? Definire non serve a dividere e contrapporre, ma a distinguere e chiarire. Distinguere è ritrovare il vero significato delle parole il senso più profondo della rottura culturale avvenuta. Lo sconvolgimento dei sistemi sanitari, ha prodotto un radicale cambiamento di paradigma: la salute diventa una variabile “dipendente” dall’economia, come d’altronde la politica.
Dalla fine del XIX secolo agli anni Settanta del Novecento, le società avanzate dell’Occidente sono diventate tutte, progressivamente, meno diseguali. Grazie alla tassazione progressiva, ai sussidi pubblici per i poveri, ai servizi sociali e alle tutele contro i colpi della sorte, le democrazie moderne si stavano liberando dal problema degli eccessi di ricchezza e povertà.(…) Negli ultimi trent’anni  abbiamo gettato al vento tutto ciò.”  Così scrive lo storico Tony Judt a proposito degli sconvolgimenti politici avvenuti dagli anni ’80 in poi, con la globalizzazione dell’economia e l’egemonia del neo-liberismo .Lo smantellamento del ssn è iniziato nel 92/93 con la trasformazione delle usl in asl condotte d manager con l’unico obiettivo ,no di fornire servizi di qualità ,ma di contenere la spesa sanitaria per arrivare alla parità di bilancio.
Con l’aziendalizzazione ritornano al centro della sanità le prestazioni differenziate e scompaiono prevenzione, riabilitazione e uguaglianza solidaristica. Ne discende lo svuotamento del diritto alla salute. La salute dipendente e vincolata alle risorse economiche ha significato cinque principali conseguenze:
1 L’economia detta i livelli di compatibilità della spesa sanitaria e degli investimenti in salute;
2 I servizi sanitari sono diventati sempre più oggetto di business, fonte di profitto, preda dell’intermediazione finanziaria e assicurativa.
3 La salute è diseguale,
4 I ticket e l’attività privatistica alimentata dalle lunghe liste d’attesa aumentano e aumenta la migrazione sanitaria e il numero di chi ha perso l’assistenza medica.
5 Progressivo decadimento di quantità e qualità dei servizi preposti alla prevenzione primaria,
Nonostante il messaggio della Commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sui determinanti sociali della salute e il dibattito sulla “determinazione sociale della salute”; la visione dominante della promozione della salute tra gli operatori del settore sembrerebbe rimanere inesorabilmente fossilizzata sul cambiamento dello “stile di vita” che il cittadino è sollecitato a compiere.
Il sistema sanitario italiano si conferma al 22° posto in Europa anche nel 2016 secondo l’Euro Index Consumer Health 2016 (EHCI) pubblicato dalla Health Consumer Powerhouse che dal 2005 valuta i sistemi sanitari di 35 paesi del continente europeo. Ricordiamo che l’indice è il risultato di un’analisi che in base a 48 indicatori suddivisi in 6 aree (Diritti dei pazienti e informazione, accesso alle cure, risultati trattamenti, gamma servizi,prevenzione e l’uso di prodotti farmaceutici) analizza i dati statistici sanitari ufficiali e il livello di soddisfazione dei cittadini.

In generale il rapporto evidenzia come “la sanità europea è in costante miglioramento su: mortalità infantile, tasso di sopravvivenza malattie cardiache, ictus e cancro. E le risultanze rimarcano anche come si stia potenziando il coinvolgimento dei paziente”.

 Nota dolente invece la persistenza di “inefficienza” in troppi paesi. E poi un auspicio: “Se tutti copiassero i sistemi europei di maggior successo si potrebbero risparmiare risorse da investire per salvare vite umane e migliorare le prestazioni”.

Al top i Paesi Bassi. Osservando la classifica si confermano al vertice i Paesi Bassi (927) seguiti dalla Svizzera (904). E da notare come per la prima volta due paesi superino la soglia di eccellenza. Sul terzo gradino del podio la Norvegia (865) seguita da Belgio (860)e Islanda (854). Al sesto posto il Lussemburgo (851) che precede Germania (849) e Finlandia (842). La Francia è undicesima e il Regno Unito al quindicesimo posto.

Per Italia lieve miglioramento nel punteggio ma posizione invariata. L’Italia si conferma nel 2016 al 22° posto come nel 2015. Ma rispetto all’anno scorso si registra un lieve miglioramento di 15 punti (dai 667 del 2015 si è arrivati a 682 nel 2016). Da notare come nel 2006 (quando i paesi misurati erano 26) l’Italia era all’11° posto. Ricordiamo che il colore ‘verde’ significa un livello alto. Il colore ‘giallo’ indica un livello medio e il colore ‘rosso’ la pessima qualità.

”L’Italia – si legge nell’indagine – ha la più grande differenza riferita al pro capite tra le regioni di qualsiasi paese europeo. Il PIL della regione più povera è solo 1/3 di quello della Lombardia (la più ricca). Anche se in teoria l’intero sistema sanitario opera sotto un ministero centrale della salute, il punteggio dell’Italia è un mix tra il verde (livello alto) da Roma in su e il rosso (livello più basso) per le regioni meridionali e per questo su molti indicatori i punteggi sono gialli”.

”A dispetto di un miglioramento generale – rileva l’indagine – permane il divario tra i top performer (Nord Europa e Svizzera) e quelli meno sviluppati (Sud-Est europeo)”.

”L’Italia come la Spagna forniscono servizi di assistenza sanitaria di eccellenza in molti luoghi. Ma l’eccellenza reale nel sud europeo sembra essere un po’ troppo dipendente dalla capacità dei consumatori di permettersi la sanità privata come supplemento alla sanità pubblica. Inoltre, sia la Spagna e l’Italia mostrano grande variabilità regionale che tende a tradursi in molti punteggi gialli per questi paesi”.

”Anche se l’EHCI mostra progressi costanti nel settore sanitario europeo, molto di più deve essere fatto. I governi la smettano di voler reinventare la ruota e mutuino dai paesi migliori le best practice” sottolinea il professor Arne Björnberg, capo della ricerca EHCI.

La classifica EHCI dei servizi sanitari riporta anche una graduatoria in base all’efficienza economica evidenziando la relazione tra il denaro speso per l’assistenza pubblica e le prestazioni dei sistemi di assistenza sanitaria. Il sistema più efficiente è quello della Macedonia. Italia in zona retrocessione al 29° posto
Il 54,3% dei cittadini italiani non è soddisfatto del Sistema sanitario, contro il 45,6% di chi si dice soddisfatto. Dal 2010 il livello di gradimento è simile: i giudizi positivi erano più bassi (41,7%), quelli negativi più alti di 15 punti, rileva l’Eurispes nel suo Rapporto Italia 2017.

Sono le lunghe liste d’attesa a creare più disagi (75,5%). Nel 42,2% dei casi si denunciano strutture mediche fatiscenti, nel 41,8% condizioni igieniche insoddisfacenti.

Oltre un terzo (34,1%) ha sperimentato errori medici. Una persona su quattro non si fida dei vaccini dell’infanzia. Oltre un italiano su 5 (21,2%) fa uso di medicinali non convenzionali (+6,7% rispetto al 2012). La rete viene spesso usata (47,7%) per cercare informazioni sui propri disturbi di salute, soprattutto dai giovanissimi di 18-24 anni (64,4%). Questi dati più significativi dell’indagine.

Al Nord-Ovest comunque prevale nettamente la soddisfazione (70,3%), che ottiene la maggioranza anche al Nord-Est (56,3%).

Del tutto diversa la situazione al Centro-Sud: i giudizi positivi si fermano a poco più di un terzo al Centro (34%, a fronte del 65,9% dei negativi), al 27,6% nelle Isole (72,4% negativi) ed al 26,4% al Sud (73,6% negativi).

La metà del campione (50,5%) per le cure specialistiche e/o interventi chirurgici preferisce generalmente rivolgersi agli ospedali pubblici, mentre il 25,7% predilige invece gli ospedali privati; il 23,8% sottolinea, d’altra parte, di non potersi permettere le cure private. Il disagio più frequente segnalato dai cittadini sono le lunghe liste di attesa per visite/esami medici (75,5%).

Oltre la metà (53,2%) ha dovuto attendere troppo per interventi chirurgici, quasi la metà (48,9%) indica una scarsa disponibilità del personale medico ed infermieristico. Nel 42,2% dei casi si denunciano strutture mediche fatiscenti, nel 41,8% condizioni igieniche insoddisfacenti. Oltre un terzo (34,1%) di quanti si sono rivolti alla sanità pubblica ha sperimentato errori medici.

Nell’ultimo anno il 31,9% dei cittadini ha rinunciato alle cure dentistiche a causa dei costi eccessivi, il 23,2% a fisioterapia/riabilitazione, il 22,6% alla prevenzione e il 17,5% ha sacrificato persino medicine e terapie.

Solo il 57,8%, si dice fiducioso nell’efficacia dei vaccini antinfluenzali, mentre il 73,9% si fida dei vaccini dell’infanzia (una persona su quattro invece non si fida). Oltre un italiano su 5 (21,2%) fa uso di medicinali non convenzionali (+6,7% rispetto al 2012). L’omeopatia è la cura alternativa più diffusa (76,1%). La fitoterapia si colloca al secondo posto (58,7%), seguono l’osteopatia (44,8%), l’agopuntura (29,6%) e la chiropratica (20,4%).

Il 47,7% del campione usa la Rete per cercare informazioni sui propri disturbi di salute. Sono i giovanissimi dai 18 ai 24 anni ad affidarsi alla Rete con maggiore assiduità alla ricerca di consigli ed informazioni mediche (64,4%).

Internet si usa soprattutto per capire a che cosa siano dovuti i sintomi/disturbi che si avvertono (91,5%). Molto alta risulta anche la percentuale di chi si informa online su buone pratiche/abitudini utili alla salute (79,9%). La metà (50,7%) usa la Rete per capire quali esami fare, quasi la metà (47,4%) per capire quali farmaci assumere per il proprio disturbo.

(Wel/ Dire)
Meno 10.000 dipendenti del Ssn in un anno. Nel 2015 sono 653.352 contro i 663.793 del 2014. Rispetto al 2007 sono 28.845 in meno (-4,2%). Per gli enti del Servizio sanitario nazionale la riduzione avvenuta nel 2015 è la più consistente del periodo considerato (10.444 unità). Nel confronto con il 2009, anno con il massimo numero di occupati nella sanità pubblica, a fine 2015 risultavano impiegate 40.364 persone in meno. Continua poi la discesa del costo del lavoro. Nel 2015 la spesa complessiva è stata di 38,964 miliardi di euro contro i 39,126 miliardi del 2014 (-162 mln, -0,4%). Praticamente la spesa è tornata sotto ai livelli del 2007 (39,027 mld).

Questi alcuni dati per il Servizio sanitario nazionale fotografati dal Conto annuale 2015 del Ministero dell’Economia che evidenzia invece come la retribuzione media per il personale del Ssn è aumentata lievemente (+0,1%) rispetto al 2014 arrivando a 38.621 euro in media (+51 euro). Sale ancora l’età media del personale che arriva a 50,1 (uomini 52,1 donne 49,1). Nel 2001, per fare un esempio, era di 43,5 mentre le previsioni per il 2020 dicono 54,3 anni in media. Numeri che il conto annuale commenta così “Per gli enti del Servizio sanitario nazionale la riduzione avvenuta nel 2015 è la più consistente del periodo considerato (10.444 unità). Nel confronto con il 2009, anno con il massimo numero di occupati nella sanità pubblica, a fine 2015 risultavano impiegate 40.364 persone in meno. I numeri assoluti e percentuali rendono evidente la diversa incidenza nel pubblico impiego delle norme relative al turn-over, che nel SSN hanno trovato applicazione differenziata per le regioni in piano di rientro”.

In calo i medici. Nello specifico, per quanto riguarda i dirigenti medici nel 2015 si registra un nuovo calo dai 112.746 del 2014 si è passati ai 110.850 del 2015 (-1.896) con una età media che è arrivata a 53,06 (nel 2014 era 52,83). Lo stipendio medio è stato di 73.133 euro (34 euro in più rispetto al 2014.

Scende anche il numero del personale non dirigente. Nel 2015 le unità a tempo indeterminato di personale non dirigente sono state 522.861 in calo di quasi 8 mila unità rispetto alle 530.739 del 2014.

Tra questi sono in calo gli infermieri che nel 2015 sono risultati 266.363 contro i 269.151 nel 2014 (-2.788). Sale anche per loro l’età media che si attesta 47,47 (nel 2014 era 47,07). In aumento anche per gli infermieri le retribuzioni medie. Nel 2015 a 32.518 (+88 euro rispetto al 2014).

Scendono anche i Dirigenti non medici che rispetto ai 19.088 del 2014 nel 2015 risultano 18.543. Di questi nel 2015 ci sono 2.625 farmacisti, un numero stabile rispetto al 2013. Aumenta anche per i dirigenti non medici la retribuzione media che dai 65.151 del 2014 è arrivata a 65.365 euro (+214 euro) nel 2015.

Aumentano i lavoratori precari del Ssn. I lavoratori flessibili del comparto sono in totale 37.530. al 2015. In crescita rispetto al 2014 di oltre 3mila unità. I lavoratori a contratto a tempo determinato sono arrivati a quota 30.686 (+8,5%) in un anno. Sempre meno rispetto al 2007 quando erano 35.907, ma il trend è in crescita dal 2012.

Salgono anche gli interinali mentre scendono i lavoratori socialmente utili. Sempre nell’ambito del lavoro precario i medici sono 8.705 in crescita rispetto ai 7.898 del 2014. Stesso dicasi per gli infermieri quelli con lavoro precario erano 10.942 nel 2014 mentre sono diventati 12.136 nel 2015 (1.194 in più). Articolo tratto da quotidianosanita.it (Wel/ Dire)
La popolazione invecchia e le patologie croniche aumentano. Contemporaneamente le sperimentazioni di farmaci innovativi e i piani di prevenzione sempre più efficaci fanno calare il tasso di mortalità. Ma questo non vale per tutti. Le disuguaglianze persistono tra i paesi più ricchi e quelli più poveri, tra i luoghi dove c’è maggiore istruzione e quelli dove la scolarizzazione è ancora troppo bassa. La resistenza agli antibiotici, poi, rappresenta un altro grosso scoglio da superare. Siamo di fronte a risultati, sfide e minacce globali. Obiettivi raggiunti e altri ancora da fissare. Sono queste le principali questioni che i ministri della Salute degli Stati membri dell’OCSE hanno affrontato durante il Forum di Parigi, il 16 e il 17 gennaio 2017. Insieme hanno redatto un documento per fare il punto della situazione e proporre delle idee che possano migliorare i vari sistemi sanitari.

La proposta: interscambio dei dati sanitari.

La loro proposta si basa soprattutto su un unico obiettivo: stabilire delle norme chiare, che valgano per tutti gli Stati, sull’utilizzo dei dati personali di coloro che accedono ai servizi del Sistema Sanitario. La privacy, infatti, non è tutelata ovunque allo stesso modo: è per questo che i rappresentanti politici hanno sentito l’esigenza di unificare il trattamento. Facciamo un esempio: se la diffusione e l’utilizzo dei dati personali si basa sul consenso, allora questo consenso deve essere uguale per tutti e ritenuto valido solo se è informato ed è dato liberamente. I ministri chiedono, inoltre, che l’unificazione del trattamento dei dati personali possa agevolare l’interscambio tra i vari Stati. Chiedono all’OCSE di sviluppare degli strumenti statistici specifici che permettano di valutare le esperienze di cura vissute dai singoli pazienti nei vari paesi. Ciò permetterebbe di capire quali sono le lacune dei sistemi sanitari e, soprattutto, quali sono le esigenze reali delle varie persone. Insomma, la loro filosofia è piuttosto semplice: solo conoscendo gli obiettivi su cui puntare sarebbe possibile fare un programma dettagliato per raggiungerli.

La situazione sanitaria attuale dei Paesi Ocse.

La relazione dei ministri, oltre ad offrire degli spunti di miglioramento, si sofferma anche ad analizzare lo stato dell’arte. Molti dei paesi europei segnalano una crescita della spesa sanitaria pro capite al di sotto dei tassi di crescita osservati prima della crisi. Al di fuori dell’Europa, invece, la spesa sanitaria è cresciuta di 2,5 punti percentuali, dal 2010 ad oggi. Contemporaneamente sono migliorati i trattamenti di cura e prevenzione, riducendo del 50% le malattie mortali cardiovascolari. Dagli anni 70 ad oggi, secondo alcuni dati OCSE, l’aspettativa di vita è aumentata di più di 10 anni. I fumatori sono diminuiti di un quarto dal 2000 ad oggi, ma per quanto riguarda l’abuso di alcol e l’obesità c’è ancora tanta strada da fare. Grandi sfide che, secondo gli esperti, possono essere affrontate soprattutto valutando le esigenze reali dei pazienti con una messa in rete dei loro dati e delle loro opinioni.

Dove c’è salute c’è meno crisi economica.

Questi obiettivi sono di ampio respiro, non riguardano solo la Salute Pubblica, ma la situazione socio-economica di tutti i paesi. Se le persone godono di una buona salute, possono essere più forti e rappresentare un capitale umano in grado di contribuire alla crescita. Lo stesso Sistema Sanitario, come datore di lavoro, può contribuire all’economia. È per questo motivo che i ministri chiedono all’OCSE di aiutarli anche a stilare un’agenda che possa migliorare le condizioni di lavoro del personale sanitario, valutandone le abilità professionali, la retribuzione, e tutte le competenze di cui hanno bisogno per adattarsi alla digitalizzazione.

Le sfide della tecnologia.

Intanto, cambiano pure le aspettative della gente: la tecnologia apre a possibilità infinite. Ma se in molti settori le innovazioni restano al passo con i tempi lo stesso non può essere detto della sanità, dove esiste un vero e proprio gap: ci sono persone che hanno già un piede nel futuro e altre che sono totalmente bloccate nel passato. Non è una questione di semplice capacità di utilizzo delle nuove tecnologie o di aggiornamento, è anche una questione economica. Creare un approccio sanitario che sia centrato sulla persona può migliorare la qualità delle cure e diminuire gli sprechi. Sono tutte sfide che bisogna affrontare per rendere l’assistenza sanitaria quanto più adeguata possibile alle esigenze future. Cancro, patologie mentali e ictus. Sono questi i principali problemi di salute a cui ci si rivolgerà inizialmente, cercando di attingere dalle eccellenze per aiutare quei paesi che sono più indietro nella cura di queste malattie. Questi impegni non rimarranno semplicemente relegati su un documento di poco più di 15 pagine, ma saranno monitorati di volta in volta “non vediamo l’ora – hanno concluso i ministri del documento – di rivedere i progressi di questi lavori tra cinque o sei anni”.
Il numero di persone che si ammalano ogni anno di patologie cardiocircolatorie è in costante aumento e l’impatto del rischio è significativo. Le malattie cardiovascolari rappresentano, infatti, la prima causa di morte in molti paesi Europei e si prevede che nel 2030 i decessi annui aumenteranno da 17 a 23 milioni. Sono inoltre circa 21 i miliardi di euro spesi ogni anno in Italia per queste patologie (tra costi diretti e indiretti). E proprio dell’impatto socio-economico, con particolare riferimento al mondo del lavoro, si è parlato oggi a Roma presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in occasione dell’evento ‘Insieme al mondo del lavoro per ridurre la mortalità delle malattie cardiovascolari’ promosso dalla Fondazione Italiana per il Cuore (FIpC).

In occasione dell’incontro è stata inoltre presentata la campagna di prevenzione ‘Lavora con il Cuore’ avviata nel 2015 dalla FIpC, in condivisione con il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con l’intento di valutare i principali fattori di rischio cardiovascolare tramite un semplice test del sangue. “L’alleanza tra il mondo del lavoro e la salute è fondamentale per contribuire alla tutela della salute dei cittadini- commenta Luigi Bobba, sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali- L’iniziativa portata avanti nel 2015 e nel 2016 in condivisione con la Fondazione Italiana per il Cuore ha rappresentato un grande esempio di sensibilizzazione della popolazione sull’importanza di adottare stili di vita corretti, attivando un circolo virtuoso: avere collaboratori in salute migliora l’ambiente di lavoro, riduce i costi e incrementa efficienza e produttività”.

Tra dicembre 2015 e febbraio 2016 la campagna si è svolta nelle sedi centrali del ministero del Lavoro a Roma e ha coinvolto “circa 550 persone (25,8% uomini e 74,2% donne), il 56% dei dipendenti- fa sapere Stefania Cresti, direttore generale per le Politiche del Personale del ministero- con ottimi risultati in termini di informazione e sensibilizzazione. A dimostrazione del fatto che il mondo del lavoro rappresenta un’area privilegiata per iniziative di questo tipo, ricordiamo che il 10,5% delle persone coinvolte non aveva alcuna conoscenza dei fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, ma un 35% era composto da fumatori o ex fumatori, un 20% con stile di vita sedentario, e che circa il 21% ha scoperto in quella occasione di presentare fattori di rischio cardiovascolare aumentato”.

Inoltre, dalle valutazioni effettuate sui dati della campagna in collaborazione con il Servizio prevenzione e protezione del Cnr di Roma e la Società italiana Studio Arteriosclerosi sezione Lazio, è emerso che “il 98% dei lavoratori intervenuti ha giudicato molto positiva l’iniziativa affermando, nell’81% dei casi, che la campagna ha permesso di migliorare le proprie conoscenze sui fattori di rischio cardiovascolari. Il 97% ha dichiarato che avrebbe tenuto conto dei consigli ricevuti e ben il 68,5% si è detto intenzionato a parlarne con il proprio medico”.

La campagna, fa sapere quindi Roberto Volpe, ricercatore del Consiglio nazionale delle Ricerche-Cnr di Roma, ha permesso di evidenziare che “il 15% dei soggetti era iperteso, il 44% presentava alti livelli di colesterolo nel sangue, il 23% fumatore, il 20% non svolgeva alcuna attività fisica e il 44% era in sovrappeso, di cui l’11% obeso – afferma – La bontà di iniziative come questa e l’apporto che può dare la medicina sui posti di lavoro risiede, dunque, proprio nell’opportunità di andare ad evidenziare quei fattori di rischio su cui si può e si deve agire per una migliore prevenzione”.

Oltre ai dipendenti del ministero del Lavoro, sempre nel 2015-2016, la campagna ‘Lavora con il Cuore’ ha coinvolto i dipendenti della sede di Milano di Sanofi e quelli di Unamsi (Unione nazionale Medico Scientifica di Informazione) con più di 870 persone.

I COSTI E L’IMPATTO SUL LAVORO – In Italia i costi diretti delle malattie cardiovascolari per il Sss sono di circa 16 miliardi di euro all’anno, ai quali vanno aggiunti circa 5 miliardi di euro in termini di costi indiretti calcolati principalmente come perdita di produttività. “E’ importante considerare, comunque- dice Massimo Piccioni, coordinatore generale medico legale dell’Inps- che i costi indiretti non comprendono solo la produttività ma anche le spese sostenute dal sistema previdenziale che è responsabile di fornire prestazioni assistenziali e previdenziali a tutte le persone affette da patologie e che eroga pensioni di inabilità ed assegni di invalidità. Le malattie del sistema cardiocircolatorio sono, infatti, al secondo posto tra le cause di invalidità previdenziale, dopo le malattie oncologiche. Sul versante assistenziale, che riguarda invece i cittadini di tutte le età e non solo in età lavorativa- conclude- le malattie cardiovascolari rappresentano la quarta causa di morte”.
Spesa sanitaria sull’ottovolante, ticket che aumentano (anche se l’incremento è da attribuire alla sola Regione Calabria), giù invece la spesa per il personale e servizi, ma con grandi macro differenze regionali. E non solo: cresce di poco l’intramoenia mentre si riducono le spese per gli organi istituzionali, con Sicilia, Lombardia e Veneto in cui è concentrata più della metà della spesa. Sono questi alcuni dei numeri del Referto su “Gli andamenti della finanza regionale – Analisi dei flussi di cassa anni 2012-2015 e primo semestre 2016” della Corte dei conti.

Ma andiamo a vedere in sintesi il documento per la parte sanitaria. E partiamo dalla spesa sanitaria che negli ultimi 4 anni è stata sull’ottovolante. “Per le Regioni e le Province autonome, nel quadriennio 2012-2015, i pagamenti per spesa sanitaria (essenzialmente caratterizzata da trasferimenti), per effetto delle anticipazioni di liquidità incassate – in particolare nel biennio 2013/2014 – per il pagamento dei debiti commerciali accumulati dai rispettivi enti sanitari, aumentano da 110,7 miliardi nel 2012 a circa 113,2 miliardi in ciascun anno del biennio 2013/2014, per ridursi a 112 miliardi nel 2015. Nel primo semestre 2016 i pagamenti per la spesa sanitaria tornano a crescere sia per spesa corrente sia per spesa in conto capitale (complessivamente +11,4%)”.

Aumentano i ticket. In generale nel biennio 2014/2015 gli incassi di parte corrente sono diminuiti dell’1,89%, con una variazione cumulata complessiva (quadriennio 2012/2015) anch’essa negativa (-0,35%), malgrado le iniezioni di liquidità incassate dagli Enti sanitari per il pagamento dei debiti commerciali. Ma in questo calo nell’ambito della riduzione generalizzata degli incassi, è da notare l’incremento delle risorse sborsate dagli utenti per il pagamento dei ticket (prestazioni specialistiche), che aumentano del 15,2% nel biennio 2014/2015 (+12,6% rispetto al 2012). In totale nel 2015 le Regioni hanno incassato 1,64 miliardi contro gli 1,42 mld del 2014. Analizzando la tabella però si può notare che l’aumento dell’ultimo anno è tutto da imputare agli incrementi degli incassi della Regione Calabria che è passato dai 21,8 mln del 2015 ad un incasso di 248,7 mln nel 2015.

In lieve crescita l’intramoenia. La Corte dei conti evidenzia come nel 2015 gli incassi per le Regioni sono stati di 995 mln, 10 mln in più rispetto al 2014. Trend stabile in tutte le Regioni con pochi cambiamenti di rilievo.

Personale. Spesa in calo di quasi il 5%. Ma a Bolzano la spesa pro-capite è doppia rispetto al Lazio. Le principali categorie di spesa nel comparto sanitario sono rappresentate dal personale e dagli acquisti di servizi che, ancora nel 2015, incidono per quasi il 70% del totale pagamenti, arrivando a coprire oltre l’80% della spesa se si considera anche la categoria dell’acquisto di beni. Con riguardo ai pagamenti effettuati dagli Enti sanitari relativamente al personale (che rappresenta il 30% della spesa), questi proseguono il loro trend decrescente (-4,70% nel quadriennio, -0,6% rispetto al 2014): la riduzione maggiore nel quadriennio è osservata nelle Regioni in piano di rientro (-9,28%). Nello specifico la Regione ad aver ridotto di più la spesa per il personale è la Campania: dal 2012 al 2015 oltre 550 mln in meno (-17,7%). Tra le regioni che hanno ridotto di più la spesa anche Sicilia (-12,2%), Calabria (-11%) e Lazio (-7%). In controtendenza, Sardegna (+4,4%), Abruzzo (2,1%), Toscana (+1,1%) e Lombardia (+0,9%). Per questa categoria di spesa, nel 2015 il dato nazionale pro capite è 592 euro, ma con notevoli differenze: nella Provincia autonoma di Bolzano ed in Valle d’Aosta – dove l’incidenza della spesa per il personale rispetto ai pagamenti correnti è pari rispettivamente al 48,9% ed al 44% – il pro capite è pari a 1.089,2 e 902,8 euro, contro i 459,58 euro della Regione Campania e i 468,30 della Regione Lazio.

Anche i pagamenti relativi agli acquisti di beni e servizi si riducono (-2,4% nel quadriennio, -5% nel 2015 sul 2014) benché si sia evidenziato nel 2015 un aumento sul versante dei costi (+5% rispetto al 2014). Tuttavia, l’andamento non è uniforme nel territorio: la Regione Lazio conosce la contrazione di pagamenti per acquisto di beni e servizi di maggior rilievo (-28% nel 2015 sul 2014), il Molise registra la variazione positiva più elevata, +15%. Il pro capite nazionale dei pagamenti per beni e servizi nel 2015 è pari a 1.177,7 euro, la Lombardia ha un pro capite di 1.839,9; la Provincia autonoma di Trento 1.285,8; il Lazio 1.216,3. La Regione Campania presenta il dato più basso d’Italia, 833,12 euro.

Voce rilevante anche quella che riguarda i costi delle Regioni per gli organi istituzionali (direttore generale, amministrativo, sanitario, sociale, collegio sindacale ecc.). Tra il 2012 e il 2015 la spesa si è ridotta del 22% arrivando a quota 117 mln. Da notare come la Sicilia con 27 mln la Lombardia con 24 mln e il Veneto (11 mln) rappresentino più del 50% del totale.

Articolo tratto da quotidianosanita.it (Wel/ Dire)
Dopo anni di tagli il nostro sistema sanitario si contrae. Il servizio pubblico non riesce a liberare risorse attraverso una reale operazione di efficientamento, come dimostrato dalla stima dei ‘sovraricavi’ (quelle forme di riconoscimento talvolta troppo ampie di ricavi ‘impropri’ che, come tali, contribuirebbero inevitabilmente al ripianamento implicito delle perdite) riconosciuti alle aziende ospedaliere e agli ospedali a gestione diretta, che si attesta tra i 2,6 e i 3,2 miliardi di euro. La conseguenza e’ un’offerta di servizi inadeguata, una crescita dei costi per gli utenti, una percezione di logoramento del sistema e un fenomeno di rimando o rinuncia alle cure che nel 2016 ha coinvolto il 26% circa degli italiani. È questo, in estrema sintesi, il contenuto del XIV rapporto annuale ‘Ospedali & Salute/2016’, promosso dall’Aiop (Associazione italiana Ospedalità Privata) e realizzato dalla società Ermeneia – Studi & Strategie di Sistema di Roma. Il lavoro è stato presentato questa mattina in Senato alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani.

Dalle analisi condotte e dal confronto con gli altri Paesi europei, in particolare, emerge un processo di deflazione da sottofinanziamento. “Nel triennio 2012-2014, infatti- si legge nel rapporto- la spesa sanitaria pubblica risulta ancorata al 6,8% del Pil, mentre risulta in crescita quella degli altri Paesi G7 (8,2%). Anche la spesa ospedaliera pubblica complessiva è ferma nel nostro Paese al 3,9% del Pil”.

Esiste poi una deflazione da inefficienza della ‘macchina’ ospedaliera pubblica, in quanto quest’ultima non riesce a ‘liberare’ risorse, come invece potrebbe, qualora fosse in grado di rivedere in maniera significativa le proprie modalità organizzative e gestionali. “Se cio’ avvenisse- spiega Aiop- le risorse recuperate sarebbero investite per migliorare le strutture, le attrezzature e i servizi per i pazienti”. A tale proposito, quest’anno è stata effettuata una stima del valore dei possibili ‘sovraricavi’ (nel XIII Rapporto presentato l’anno scorso si erano stimati i ‘sovracosti’), con riferimento ad una voce specifica, quella delle attività ‘a funzione’, cioè quelle attività assistenziali che non hanno una copertura a tariffa predefinita per Drg (la Diagnosis Related Groups è la classificazione dei ricoveri ospedalieri per acuti nell’ambito del Ssn).

La valorizzazione ‘reale’ è stata calcolata a partire da quanto riportato nei conti economici consuntivi 2015 di tutte le aziende ospedaliere del Paese e operando successivamente una stima sugli ospedali a gestione diretta, in quanto la loro rendicontazione specifica è inclusa nel bilancio generale della Asl di riferimento, ma non eÌ facilmente individuabile.

”Tali ‘sovraricavi’, prudentemente valutati- si legge ancora nel rapporto annuale Aiop-risultano compresi tra 1,4 e 1,7 miliardi di euro per le 84 aziende ospedaliere, a cui si possono aggiungere tra 1,2 e 1,5 miliardi di euro per i 360 ospedali a gestione diretta. Ci troveremmo dunque davanti ad un valore complessivo compreso tra i 2,6 e i 3,2 miliardi di euro”. La difficoltà dell’ospedalità pubblica nel fare un’effettiva ristrutturazione e riorganizzazione alimenta quindi a sua volta una deflazione dovuta al trasferimento di oneri economici e normativi sul comparto ospedaliero privato accreditato nel suo complesso. “E’ evidente che trasferire sistematicamente oneri economici aggiuntivi sulla componente privata- spiegano da Aiop- finisce con l’innescare anche per quest’ultima un processo di erosione dei servizi forniti ai pazienti”.

Esiste infine una deflazione da razionamento, di fatto dei servizi offerti nell’ambito dell’ospedalitaÌ pubblica. La causa di questo fenomeno è riconducibile all’impatto generato dai provvedimenti di spending review, intrapresi nel quadro delle politiche di austeritaÌ degli ultimi 5 anni.

”Dal 2009 al 2014- fa sapere ancora il rapporto Aiop- si riduce il numero dei posti letto (-9,2%), il numero di ricoveri (-18,3%), delle giornate di degenza (-14,0%), del personale (-9,0% tra il 2010 e il 2014); dal 2009 al 2015, aumentano in parallelo gli oneri per gli utenti, con i ticket per le prestazioni che crescono del 40,6%, le visite intramoenia a pagamento presso gli ospedali pubblici del 21,9% e i ticket per i farmaci del 76,7%”. Tutto cio’ ha spinto i pazienti a cercare soluzioni alternative presso le strutture private, accreditate e non; a ricorrere a strutture ospedaliere presenti in altre regioni rispetto a quella di residenza; addirittura a rimandare o a rinunciare alle cure.

Dall’indagine condotta quest’anno sui care-giver (coloro che assistono uno o piuÌ componenti ammalati e/o disabili della famiglia) emerge infatti come “il 16,2% delle famiglie italiane ha rimandato una o piuÌ prestazioni nel 2016 (fenomeno che ha coinvolto tra 4 e 8 milioni di persone) e che il 10,9% delle famiglie ha invece rinunciato a curarsi (con 2,7-5,4 milioni di persone interessate)”. Ed è proprio la rinuncia alle cure ad alimentare le preoccupazioni dell’Aiop sul possibile peggioramento nel medio periodo dello stato di salute della popolazione, comportando delle ripercussioni negative non solo sull’outcome di salute dei cittadini, ma anche sui costi.
Nel solo 2016, le spese legali per liti, da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, sostenute dal comparto sanitario italiano ammontano a poco piu’ di 191 milioni di euro, circa 523 mila euro al giorno. E’ questo uno dei dati che emerge dall’indagine condotta per il secondo anno consecutivo dall’istituto Demoskopika.

In particolare, sono le strutture sanitarie meridionali ad essere piu’ litigiose concentrando oltre il 60% delle spese legali complessive, pari a poco meno di 120 milioni di euro. È la Calabria, con una spesa pro-capite di 9,9 euro e un ammontare in valore assoluto pari a 19,6 milioni di euro, a guidare la graduatoria del comparto sanitario pubblico piu’ “avezzo” a contenziosi e sentenze sfavorevoli. Un dato ancora piu’ rilevante se si considera che la spesa pro-capite italiana e’ di poco superiore ai 3 euro. A seguire, nella parte piu’ bassa della classifica, la Basilicata con 6,9 euro di spesa pro-capite (4 milioni di euro), l’Abruzzo con 5,7 euro pro-capite (7,6 milioni di euro), la Toscana con 5,7 euro pro-capite (21,4 milioni di euro), la Sicilia con 5,6 euro pro-capite (28,3 milioni di euro) e la Campania con 5,5 euro pro-capite (32 milioni di euro).
Nel 2015 la società italiana è ulteriormente invecchiata. Secondo l’ultima edizione dell’Annuario statistico italiano dell’Istat, infatti, al 31 dicembre dello scorso anno ogni 100 giovani ci sono 161,4 over65, da 157,7 dell’anno precedente.

Sul territorio, è la Liguria la regione con l’indice di vecchiaia più alto (246,5 anziani ogni 100 giovani) mentre quella con il valore più basso è la Campania (117,3%), ma in entrambi i casi i valori sono in aumento rispetto al precedente anno.

Nell’Ue a 28 paesi, al 31 dicembre 2014 l’Italia si conferma al secondo posto nel processo di invecchiamento della popolazione, preceduta dalla Germania che ha circa 160 anziani ogni 100 giovani.

SI STABILIZZA NUMERO RICOVERI OSPEDALIERI – Tende a stabilizzarsi il numero di ricoveri ospedalieri. È quanto rende noto l’Istat che ha diffuso l’annuario edizione 2016.

Nel 2014, le dimissioni ospedaliere per acuti (escluse riabilitazione e lungodegenza) in regime ordinario e in day hospital sono state 8.682.042, ossia 1.428 dimissioni ospedaliere ogni 10 mila residenti. Prosegue la diminuzione dei ricoveri, sebbene con ritmi decrescenti: -5% tra 2010 e 2011 e tra 2011-2012; -4,3% tra 2012 e 2013; -3,3% tra 2013 e 2014. Il sistema ospedaliero, dopo un lungo periodo di riorganizzazione che ha portato a deospedalizzare i casi meno gravi e quelli che potevano essere presi in carico dalle strutture sanitarie territoriali, tende ad una stabilizzazione del numero di ricoveri anche considerando il progressivo invecchiamento della popolazione che pone un freno ad un ulteriore calo della ospedalizzazione.

 GIUDIZIO POSITIVO SU SALUTE PIÙ ELEVATO TRA UOMINI – È positivo il giudizio sul proprio stato di salute dato dagli uomini.

Peggio, invece, tra le donne. A darne notizia l’Istat, attraverso l’annuario, edizione 2015.

Nel 2016, il 70,1% della popolazione ha fornito un giudizio positivo del proprio stato di salute (valore stabile rispetto a un anno prima), più elevato fra gli uomini (73,9%) che fra le donne (66,4%). A parità di età, già dai 45 anni le donne appaiono svantaggiate: nella fascia di età 45-54 anni il 73,7% degli uomini si considera in buona salute contro il 69,1% delle coetanee, ma le differenze maggiori si hanno tra i 60 e i 64 anni (58,3% contro 49,7%) e i 75 anni e oltre (28,7% contro 20,9%).

Tra le regioni italiane le situazioni migliori si rilevano a Bolzano (84,5%), Trento (78,5%) ed Emilia-Romagna (73,5%), le peggiori in Calabria (62,1%) e Sardegna (63,0%).

Sul fronte delle patologie croniche, il 39,1% dei residenti dichiara di essere affetto da almeno una fra le 15 considerate, valore in lieve aumento rispetto al 2015 (+0,8 punti percentuali). Le malattie o condizioni croniche più diffuse sono l’ipertensione (17,4%), l’artrosi/artrite (15,9%), le malattie allergiche (10,7%), l’osteoporosi (7,6%), la bronchite cronica e l’asma bronchiale (5,8%) e il diabete (5,3%).

SOLO 1 ITALIANO SU 4 FA SPORT NEL TEMPO LIBERO – Solo un italiano su quattro fa sport nel tempo libero. Per l’annuario statistico dell’Istat, infatti, poco più di un terzo della popolazione di 3 anni e più pratica nel tempo libero uno o più sport; fra questi il 25,1% afferma di farlo con continuità (+1,4 punti percentuali sul 2015), mentre il 9,7% lo pratica in modo saltuario. Un ulteriore 25,7% svolge qualche attività fisica come fare passeggiate di almeno due chilometri, nuotare o andare in bicicletta mentre i veri sedentari sono circa quattro su dieci (39,2%). Lo sport continuativo viene praticato di più fra i 6 e i 17 anni mentre l’attività sportiva saltuaria riguarda soprattutto le classi d’età successive.

CALANO I POSTI LETTO – Continua, seppur in misura ridotta il calo dei posti letto ordinari messi a disposizione del Servizio sanitario nazionale. Nel 2013 se ne contano 196.927 con un rapporto medio per 1.000 abitanti di 3,3 pl. Circa 2.000 in meno rispetto al 2012 e 18mila in meno rispetto al 2009. Le politiche di tagli però, andando a vedere le singole regioni riportano di un centro sud con numeri ampiamente sotto la media, al contrario delle regioni del centro nord che hanno tutti numeri più elevati. I dati regionali relativi agli indicatori dell’offerta ospedaliera del 2013 mostrano una forte variabilità: i posti letto ordinari per mille abitanti variano dai valori più bassi in Calabria (2,5) e Campania (2,7) ai più alti in Valle d’Aosta (4,0), Emilia-Romagna (3,9) e Molise (3,8).

TAGLIATE QUASI IL 10% DELLE STRUTTURE DI RICOVERO DAL 2009 – La dieta del Ssn ha riguardato anche le strutture. Erano 1.172 nel 2009, sono 1070 nel 2013.

RIDOTTI AMBULATORI E MEDICI DI BASE – Nell’ampio rapporto non si può non rimarcare come la stretta cui è stato sottoposto il Ssn abbia riguardato non solo i posti letto ospedalieri. Il calo ha caratterizzato anche il numero degli ambulatori e laboratori (dai 9.658 del 2009 ai 9.214 del 2013). Lieve tendenza alla discesa anche per i medici di base anche se il fenomeno è destinato ad acuirsi nel tempo. Sia per i laboratori che per la medicina di base da notare come in questo caso l’alta prevalenza di strutture e dottori si ha nelle regioni del Centro Sud.

AUMENTA IL PERSONALE DEL SSN – Nel 2013 il Ssn ha registrato 632.730 unità di personale (medici, infermieri, tecnici, etc). Un numero in crescita (per tutte le categorie) rispetto al 2012 quando se n’erano registrate 616.437. Sono lontani i tempi del 2009 quando si viaggiava intorno a quota 650mila ma la linea di tendenza al ribasso è stata invertita.

CRESCE (MA SOLO AL NORD) L’ASSISTENZA RESIDENZIALE – In controtendenza invece l’aumento dell’assistenza residenziale che tra il 2009 e il 2013 ha visto crescere i posti letto del 16% fino a quota 234.008. Ma mai come su questo dato si evidenzia uno squilibrio tra Nord e Sud. In Campania la media è di 4,4 posti letto ogni 10mila abitanti mentre nella Pa di Trento ve ne sono 91,2. Impietoso anche il confronto tra Lazio e Lombardia: nella prima i posti letto in strutture residenziali sono 16 ogni 10mila abitanti, nella seconda 69,2. In generale in Italia la media è di 38,8 posti letto. Al Sud la media è di 11,6, al Centro del 26,3 e al Nord si superano abbondantemente i 60 pl. Insomma un’Italia sempre più spaccata in due in cui al Sud sembrano essere rimaste poche e limitate briciole.

(Wel/ Dire)
Tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno concordato di cercare di raggiungere una copertura sanitaria universale (UHC) entro il 2030, come parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile. E il 12 dicembre sarà l’occasione per riflettere su come raggiungere l’obiettivo visto che si celebrerà proprio la Giornata mondiale per la Copertura sanitaria universale, ovvero l’accesso ai servizi sanitari essenziali di qualità; sicuri, efficaci e convenienti a livello di farmaci essenziali e vaccini e protezione dai rischi finanziari.

Il fatto è che l’obiettivo è ancora lontano. L’Oms rileva come almeno 400 milioni di persone non hanno accesso a livello globale ad uno o più essenziali servizi sanitari. E ogni anno 100 milioni di persone sono spinte nella povertà e 150 milioni di persone soffrono la catastrofe finanziaria a causa della spesa out-of-pocket sui servizi sanitari.

Una spesa out of pocket che in media rappresenta circa il 32% della spesa sanitaria di ciascun paese.

Per l’Oms l’obiettivo è quindi “garantire un accesso equo richiede una trasformazione nel modo in cui i servizi sanitari sono finanziati, gestiti e consegnati in modo che i servizi sono concentrati intorno ai bisogni delle persone e delle comunità”.

Ma servirà pure più personale. “Più di 18 milioni di operatori sanitari supplementari saranno necessari entro il 2030”.

(Wel/ Dire)
La nuova relazione “Uno sguardo alla sanità: Europa 2016”, presentata il 23 novembre, è il risultato iniziale del primo ciclo biennale sul tema “Lo stato della salute nell’UE”; fornisce agli Stati membri informazioni sanitarie affidabili e analisi approfondite realizzate da esperti che possono aiutarli a delineare politiche basate su dati concreti. Lo si legge nell’editoriale della newsletter della Commissione Salute della Commissione Ue.

La relazione, che contribuisce anche a individuare i settori in cui il valore aggiunto europeo potrebbe essere particolarmente significativo, esamina lo stato della salute e i sistemi sanitari degli Stati membri dell’UE ed evidenzia gli ostacoli che impediscono loro di essere efficaci, accessibili e resilienti quanto potrebbero.

La relazione contiene una notizia buona e una cattiva. Ad esempio, è una buona notizia che oltre un milione di decessi in tutta l’UE potrebbe essere evitato. E questa è anche la cattiva notizia, perché significa che più di un milione di persone in tutta l’UE continua a morire a causa di malattie e lesioni evitabili. La relazione ci aiuterà a capire come cambiare questo stato di cose. Ad esempio, esso mostra che il 16% degli adulti nell’UE è obeso e il 20% fuma – si tratta di fattori di rischio che potrebbero essere efficacemente contrastati.

Anche i nostri sistemi sanitari sono affetti da problemi che potrebbero essere evitati, secondo le conclusioni della relazione. Il 27% dei pazienti dell’UE finisce direttamente al pronto soccorso perché non ha accesso all’assistenza sanitaria di base. Il 15% della spesa in materia sanitaria è pagato di tasca propria dai pazienti, poveri e gli europei poveri hanno in genere dieci volte più probabilità di avere problemi a ottenere un’assistenza sanitaria adeguata.

E anche se non è possibile stabilire un prezzo per la salute, è possibile calcolare l’impatto economico di un cattivo stato di salute e di sistemi inadeguati di assistenza sanitaria. Ogni anno, per esempio, l’economia dell’Unione europea perde circa 115 miliardi di euro in termini di produttività a causa della morte prematura, e spesso evitabile, di adulti in età lavorativa. Questi sono i tipi di problemi che il ciclo “Lo stato della salute nell’UE” spera di riuscire a identificare e analizzare meglio. Il passo successivo è quello di produrre un profilo sanitario per tutti i 28 paesi dell’UE, che riassuma la situazione e sottolinei le caratteristiche e le sfide particolari di ciascuno Stato membro dell’UE. I profili saranno pronti entro l’anno prossimo in questo periodo.

La relazione “Uno sguardo alla sanità” elaborata dall’OCSE in collaborazione con la Commissione europea è, come il nome stesso suggerisce, una prima panoramica di dati sanitari comparabili relativi ai diversi Stati membri. L’intero ciclo “Lo stato generale della salute” fornirà un’analisi approfondita che si baserà sulla presente relazione e sui singoli profili nazionali dettagliati per ciascuno Stato membro.

Alla fine del ciclo, la Commissione produrrà un documento analitico che accompagnerà i profili, collegando i risultati al più ampio programma dell’UE. Agli Stati membri saranno proposti scambi di migliori prassi cui potranno partecipare su base volontaria.

È importante tener presente che lo scopo dei profili per paese è dare una mano, non puntare il dito. L’obiettivo finale è sicuramente un obiettivo condiviso da tutti – aiutare i cittadini europei ad avere accesso ai servizi sanitari, alla prevenzione e alla promozione della salute migliori possibili, indipendentemente dallo Stato membro che considerano come il loro paese.

La realizzazione della relazione “Uno sguardo alla sanità: Europa 2016” coincide con la firma di un accordo di cooperazione tra la Commissione europea e l’OCSE; una più intensa cooperazione contribuirà a migliorare la conoscenza dei sistemi sanitari e dei loro risultati, per elaborare nuove misure delle esperienze e dei risultati incentrati sulle persone e potenziare la capacità di analisi economica della sanità pubblica e dei sistemi sanitar
Un esercito di quasi 40 mila camici rosa: sono questi i numeri dell’altra metà del cielo che lavora in corsia. Ma nonostante le donne medico stiano superando i loro colleghi uomini, questo sorpasso riguarda solo i numeri. Se sei donna, medico e con figli il percorso a ostacoli nella professione è assicurato. Se poi sei giovane le difficoltà aumentano fino al mobbing nel 60% dei casi. Aver scelto questa professione ha comportato per molte il divorzio, la scelta di rimanere single e comunque ha creato pesanti conflitti familiari (66%). Questo l’identikit delle donne medico oggi, emerso dai dati della survey elaborati dal settore Giovani dell’Anaao Assomed alla vigilia della II Conferenza Nazionale delle Donne Anaao Assomed che si svolgerà a Napoli mercoledì 14 dicembre.

Dalle risposte degli oltre 1000 professionisti sono emersi dati preoccupanti. Il problema del calo della fertilità, affrontato male da una discutibile campagna ministeriale, è ben evidente tra i medici che, a causa dei carichi di lavoro, hanno meno figli di quanti ne desidererebbero o rinunciano del tutto a formare una famiglia. Tra chi ha figli, le difficoltà di gestione quotidiana sono evidenti: gli asili pubblici sono inadeguati per il lavoro articolato su tre turni, i nonni diventano risorse fondamentali, la figura paterna aiuta, ma potrebbe fare di più. Ma se il lavoro ha importanti ripercussioni sulle scelte di vita, l’avere figli influisce a sua volta sulla carriera, perché compromette l’accesso ai ruoli apicali, l’opportunità di aggiornarsi e, per i precari, la possibilità di ottenere il rinnovo contrattuale.

L’essere donne, giovani e con figli sembra poi una miscela pericolosa: sono queste infatti le figure maggiormente oggetto di mobbing, avances, più penalizzate nei concorsi e nell’avanzamento di carriera. Il precariato, dilagante in questi anni, contribuisce pesantemente alla posizione di debolezza e ricattabilità delle giovani dottoresse. Il quadro peggiora ulteriormente se si considerano le donne impiegate nelle specialità chirurgiche, ove lo storico atteggiamento discriminatorio nei confronti del genere femminile non sembra ancora superato. Neppure il part-time sembra essere una soluzione percorribile per conciliare i tempi vita-lavoro: dall’indagine infatti è emerso che l’88,6% dei medici pur avendone necessità non ne ha fatto richiesta per paura di ripercussioni sulla carriera. Disaggregando i dati per fascia di età emerge che i soggetti nella fascia 41-50 anni hanno maggiore necessità di un impiego a tempo ridotto rispetto alla fascia 30-40 anni poichè all’aumentare dell’età, aumenta il carico familiare non solo legato ai figli, ma anche ai genitori.

Alla blacklist dei problemi e delle inefficienze l’indagine contrappone la forte richiesta di politiche a tutela della famiglia, prima ancora che della donna. Fare figli, accudirli ed educarli, non è responsabilità esclusiva del genere femminile, ma di tutta la società, se vuole crescere e progredire. Ampliare l’accesso al part-time, sostituire le assenze per maternità, creare degli asili nido aziendali sono alcune tra le proposte concrete e fattibili che andrebbero recepite con urgenza. E’ giunto il momento che la sanità abbandoni un modello unicamente maschile e si avvii velocemente verso la declinazione di ritmi e organizzazione del lavoro che tenga conto della presenza delle donne. E il sindacato da questa indagine deve trarre utili elementi per ripensare se stesso, in termini di servizi offerti e di obiettivi organizzativi su cui impegnare energie e risorse per creare migliori condizioni lavorative per i medici del Ssn, uomini o donne che siano.

(Wel/ Dire)

La causa ultima delle malattie, e l’obiettivo su cui agire, risiede nei singoli individui e nelle “libere” scelte che essi compiono. Dal tumore, visto come malattia sociale e in netto aumento, dovremmo difenderci solo con mezzi personali e individuali di cui disponiamo, con l’adesione agli screening e una prevenzione che non trascuri nessun aspetto, compresa l’alimentazione come scelta consapevole. Si vive sempre più a lungo, con l’Italia tra i Paesi più longevi d’Europa, ma sono forti le disuguaglianze sociali. Le donne, a fronte dello storico vantaggio rispetto agli uomini in termini di longevità, sono più svantaggiate in termini di qualità della sopravvivenza: in media, oltre un terzo della loro vita è vissuto in condizioni di salute non buone. Il Mezzogiorno vive una doppia penalizzazione: una vita media più breve e un numero minore di anni vissuti senza limitazioni. Le donne che risiedono in quest’area, a 65 anni possono contare di vivere in media ancora 7,3 anni senza problemi di limitazione nelle attività quotidiane, mentre le loro coetanee del Nord hanno un’aspettativa di 10,4 anni da vivere in tale condizione.
Fermarsi sulla responsabilità individuale fornisce un’efficace copertura alle industrie del tabacco, alimentari, di bevande zuccherate e alcolici tese a difendere i loro profitti contro la minaccia di regolamentazioni o restrizioni governative. L’approccio individualistico è l’essenza del moderno trend verso la medicalizzazione della vita.

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione Europea riconosce alla persona il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ricevere cure mediche. Diritto previsto dalla nostra Costituzione all’art.32.
“Dalla fine del XIX secolo agli anni Settanta del Novecento, le società avanzate dell’Occidente sono diventate tutte, progressivamente, meno diseguali. Grazie alla tassazione progressiva, ai sussidi pubblici per i poveri, ai servizi sociali e alle tutele contro i colpi della sorte, le democrazie moderne si stavano liberando dal problema degli eccessi di ricchezza e povertà.(…) Negli ultimi trent’anni  abbiamo gettato al vento tutto ciò.”  Così scrive lo storico Tony Judt a proposito degli sconvolgimenti politici avvenuti dagli anni ’80 in poi, con la globalizzazione dell’economia e l’egemonia del neo-liberismo .Lo smantellamento del ssn è iniziato nel 92/93 con la trasformazione delle usl in asl condotte d manager con l’unico obiettivo ,no di fornire servizi di qualità, ma di contenere la spesa sanitaria per arrivare alla parità di bilancio.I principi ispiratori della legge 833 vengono capovolti la salute è trattata come una merce viene creato il mercato delle prestazioni sanitarie a cui il cittadino diventato cliente si rivolge in base al proprio reddito. Ritornano al centro le prestazioni differenziate e scompare l’uguaglianza solidaristica.
Questi sconvolgimenti hanno interessato anche i sistemi sanitari, producendo un radicale cambiamento di paradigma: la salute diventa una variabile “dipendente” dell’economia.  (Il “vecchio” paradigma diceva che la salute umana era il fondamento, la pre-condizione, per lo sviluppo economico e sociale di una comunità, di una nazione. Porre la salute come variabile “dipendente” dell’economia ha avuto due principali conseguenze: 1. E’ l’economia che detta i livelli di compatibilità della spesa sanitaria e degli investimenti in salute; 2. I servizi sanitari sono diventati sempre più oggetto di business, fonte di profitto, preda  dell’intermediazione finanziaria e assicurativa.  Su scala mondiale tutto ciò ha avuto conseguenze molto diverse. Nei paesi che hanno goduto dei vantaggi della globalizzazione (es: competizione sul costo del lavoro) e che hanno registrato rilevanti, talora esplosivi, incrementi del PIL, è andata bene anche per la sanità. In alcuni paesi molto bene, come Brasile, Messico e Thailandia, dove l’incremento degli investimenti in sanità si è associato a misure in favore di una maggiore equità. Ma anche qui, e in misura molto maggiore in altri paesi come Cina, India e Sudafrica (dove enormi sono le diseguaglianze nella salute e nell’accesso ai servizi sanitari), sanità privata e mercato assicurativo dilagano incontrastati.
L’Europa occidentale, che è stata la culla del “welfare state” e dei sistemi sanitari universalistici, è invece l’area che sta maggiormente soffrendo le conseguenze della globalizzazione.  Questi sistemi, prima – in ossequio all’economia – si sono “aziendalizzati”,  poi – in ossequio alle compatibilità imposte dall’economia (BCE, FMI, etc.) – si sono impoveriti, e ora si stanno rapidamente privatizzando, diventando preda   dell’intermediazione finanziaria e assicurativa. 
Si vive sempre più a lungo, con l’Italia tra i Paesi più longevi d’Europa, ma sono forti le disuguaglianze sociali. È questo quanto emerge da “Benessere Equo e Sostenibile”, il primo rapporto del CNEL e dell’Istat che valuta lo stato di salute del Paese utilizzando indicatori che vanno “al di là del PIL”, quindi non solo con parametri di carattere economico, ma anche sociale e ambientale, corredati da misure di diseguaglianza e sostenibilità.
Ecco alcuni dati del rapporto BES 2013.
Le donne, a fronte dello storico vantaggio rispetto agli uomini in termini di longevità, sono più svantaggiate in termini di qualità della sopravvivenza: in media, oltre un terzo della loro vita è vissuto in condizioni di salute non buone. Il Mezzogiorno vive una doppia penalizzazione: una vita media più breve e un numero minore di anni vissuti senza limitazioni. Le donne che risiedono in quest’area, a 65 anni possono contare di vivere in media ancora 7,3 anni senza problemi di limitazione nelle attività quotidiane, mentre le loro coetanee del Nord hanno un’aspettativa di 10,4 anni da vivere in tale condizione.
La mortalità infantile causata da incidenti da mezzi di trasporto e da tumori sono in calo nel lungo periodo, mentre crescono i decessi per demenza senile e malattie del sistema nervoso. La popolazione continua a essere minacciata da comportamenti a rischio: l’obesità è in crescita (circa il 49% della popolazione maggiorenne è in sovrappeso o obesa); l’abitudine al fumo, soprattutto radicata fra i giovani (se nel 2001 i fumatori erano il 23,7% della popolazione di 14 anni e più, dieci anni dopo tale percentuale è scesa solo di un punto); l’abuso nel consumo di bevande alcoliche tra i giovani; uno stile di vita sedentario (circa il 40% degli adulti non svolge alcuna attività fisica nel tempo libero); poco consumo di frutta e verdura (l’80% della popolazione ne consuma meno di quanto raccomandato).
 Tutti questi elementi rappresentano fattori di rischio non solo per la salute odierna della popolazione, ma anche, e soprattutto, per quella futura, qualora si consolidassero negli stili di vita della popolazione.
I pilastri del servizio sanitario sono l’universalità, l’uniformità, la globalità. Non è affatto così da una parte c’è una mobilità passiva dall’altra vi sono regioni che capitalizzano arricchendo il loro fondo sanitario con le povertà e carenze altrui.La crisi economica ha acuito il taglio dei servizi l’aumento dei ticket che compartecipano alla spesa e la migrazione sanitaria.Le donne e le associazioni che le rappresentano chiedono interventi di politica sanitaria che possano contrastare la disuguaglianza che li esclude dalla prevenzione all’interno di un sistema di diritti ugualmente distribuito su tutto il territorio nazionale.
La tendenza economicistica sta erodendo il servizio sanitario con un rafforzamento di politiche regionali identitarie che circoscrivono  gli “uguali” cioè cioè quelli che hanno il diritto ad avere la salute rispetto ai ” diversi”, quelli le cui domande sanitarie vanno respinte o perché donne o perché anziani o per appartenenza ad un determinato territorio. Le nuove generazioni stanno crescendo in un mondo dove tutti i rapporti, i valori, il lavoro ed i diritti sono regolati dall’obbedienza al volere del mercato che sembra una entità metafisica, invisibile che incide però pesantemente su diritti e sui bisogni e quindi anche sulla sanità. E’ il mercato che con la crisi finanziaria pratica tagli lineari ed impoverisce la sanità. Il mercato non ha però volto non ci mette la faccia eppure è in ogni luogo e modifica anche il nostro linguaggio. Se partiamo dal mercato se lo lasciamo comandare se il mercato regola tutto è guerra è guerra di tutti contro tutti.Il cittadino che chiede diritti è stato trasformato in un cliente.Il mercato ha cambiato il nostro linguaggio anche in sanità. Sono scomparse le Unità sanitarie locali sostituite da Aziende sanitarie locali. Dapprima avevamo un organismo che gestiva la sanità oggi abbiamo un’organismo più o meno complesso che svolge una attività economica: Asp azienda sanitaria provinciale, ma le aziende non trattano prodotti merci non amministrano affari patrimoni benchè pubblici? Quindi la salute è una merce e come tale va trattata. Il mercato ha cambiato il linguaggio oggi dobbiamo imparare e conoscere termini quali spread austerity fiscal compact piano di rientro patto di stabilità fiscal compact spending review tagli lineari che si traducono e significano semplicemente smantellamento dello stato sociale,che in sanità significa :taglio di posti letto ,di servizi, aumento dei ticket cresciuti del 40% in pratica diritto alla salute negato.Allo stesso tempo sono apparsi termini come invisibili cioè i poveri i migranti Dal vocabolario sono però scomparsi termini come uguaglianza . L’uguaglianza era il perno su cui si fondava la nostra costituzione non a caso venivano chiamati padri fondatori coloro che avevano stabilito le regole della convivenza civile e sociali mettendo al centro la dignità delle persone. Uguaglianza non significa che siamo tutti uguali ma che tutti abbiamo pari dignità e gli stessi diritti. Contrastare e denunciare le disuguaglianze dovrebbe essere al primo posto dell’agenda politica sanitaria. La prevenzione deve essere uguale per tutti.Il perseguimento dell’eguaglianza dovrebbe essere un vincolo e non un valore in sé. Su questo vi e’ bisogno di un capovolgimento radicale di mentalità.orizzonti valori e linguaggi. Al Sud si hanno differenze in termini di reale opportunità di vita ma bisogna da parte  di tutti operare per il diritto alla cittadinanza effettiva e non confidare nell’aiuto personale perchè tutti hanno il diritto ad avere diritti.

Le nuove generazioni stanno crescendo in un mondo dove tutti i rapporti, i valori, il lavoro ed i diritti sono regolati dall’obbedienza al volere del mercato che sembra una entità metafisica, invisibile che incide però pesantemente su diritti e sui bisogni e quindi anche sulla sanità. E’ il mercato che con la crisi finanziaria pratica tagli lineari ed impoverisce la sanità. Il mercato non ha però volto non ci mette la faccia eppure è in ogni luogo e modifica anche il nostro linguaggio. Se partiamo dal mercato se lo lasciamo comandare se il mercato regola tutto è guerra è guerra di tutti contro tutti.mIl cittadino che chiede diritti è stato trasformato in un cliente. Il mercato ha cambiato il nostro linguaggio anche in sanità. Sono scomparse le Unità sanitarie locali sostituite da Aziende sanitarie locali. Dapprima avevamo un organismo che gestiva la sanità oggi abbiamo un’organismo più o meno complesso che svolge una attività economica: Asp azienda sanitaria provinciale, ma le aziende non trattano prodotti merci non amministrano affari, patrimoni benchè pubblici? Quindi la salute è una merce e come tale va trattata. Oggi dobbiamo imparare e conoscere termini quali spread, austerity, fiscal compact, piano di rientro, patto di stabilità, spending review ,tagli lineari che si traducono e significano semplicemente smantellamento dello stato sociale, che in sanità significa: taglio di posti letto, di servizi, aumento dei ticket cresciuti del 40%, in pratica diritto alla salute negato, lunghe liste d’attesa. Allo stesso tempo sono apparsi termini come invisibili cioè i poveri, i migranti. Dal vocabolario sono però scomparsi termini come uguaglianza . L’uguaglianza era il perno su cui si fondava la nostra costituzione non a caso venivano chiamati padri fondatori coloro che avevano stabilito le regole della convivenza civile e sociali mettendo al centro la dignità delle persone.Uguaglianza non significa che siamo tutti uguali ma che tutti abbiamo pari dignità e gli stessi diritti. Contrastare e denunciare le disuguaglianze dovrebbe essere al primo posto dell’agenda politica sanitaria. La prevenzione deve essere uguale per tutti. Il perseguimento dell’eguaglianza dovrebbe essere un vincolo e non un valore in sé. Su questo vi è bisogno di un capovolgimento radicale di mentalità, orizzonti, valori e linguaggi. Al Sud si hanno differenze in termini di reale opportunità di vita ma bisogna da parte  di tutti operare per il diritto alla cittadinanza effettiva e non confidare nell’aiuto personale perché tutti hanno il diritto ad avere diritti.